Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXV, n. 1 - Gennaio 2025

Teorie e tecniche educative relative all'autismo infantile: una panoramica

Questo lavoro vuole essere una panoramica di facile comprensione sulle principali teorie e tecniche educative riguardanti un tema assai complesso quale l'autismo infantile.
Credo che possa costituire un valido supporto a tutti coloro che operano nel campo educativo e dunque hanno necessità di tenere sempre aggiornate le basi metodologiche.

Introduzione

Generalmente quando si parla di "Autismo", si intende riferirsi all' "Autismo Primario Infantile" che secondo il DSM IV è classificabile sotto i "Disturbi Pervasivi dello Sviluppo" che comprendono anche l'Autismo Secondario, la Sindrome di Asperger, la Psicosi Simbiotica, la Schizofrenia Infantile, la Psicosi Maniaco Depressiva e la Sindrome di Rett.
Tutte queste patologie, seppur estremamente differenti fra loro, hanno in comune la peculiarità di generare una grave alterazione del legame affettivo con la realtà, con conseguente alterazione pervasiva dello sviluppo dell'individuo.

I principali criteri diagnostici dei Disturbi Pervasivi della Sviluppo (da ora D.P.d.S.) sono i seguenti:

  • Alterazione e distorsione delle interazioni sociali
  • Alterazione e compromissione della comunicazione e dell'attività immaginativa
  • Marcata restrizione del repertorio di attività ed interessi

Come accennato, uno tra i più frequenti quadri clinici è l'Autismo Primario, individuato da Leo Kanner nel 1943.

Il termine Autismo era stato utilizzato già nel 1911 dallo psichiatra "Bleuler" per definire un particolare stato di auto isolamento rispetto alla realtà, riscontrabile nei pazienti adulti affetti da Schizofrenia.

Kanner si rese conto che alcuni bambini presentavano questa caratteristica ed approfondendo le proprie ricerche si accorse che i criteri diagnostici per definire l'Autismo Primario erano sempre gli stessi:

  • Esordio entro il 1° anno di vita
  • Incapacità di relazionarsi con gli altri (ALONENESS)
  • Intolleranza ai cambiamenti e ripetizione ossessiva di movimenti (SAMENESS)
  • Potenzialità intellettive conservate ed uso anomalo del linguaggio.

I bambini affetti da Autismo Primario infatti, appaiono apatici fino dai primi mesi di vita, sono indifferenti alle proposte relazionali della madre e non presentano coccolabilità, gesto indicativo, percezione della differenza fra figure accudenti ed estranee.

L'ambiente e gli oggetti vengono esplorati limitatamente ad una dimensione auto sensoriale e stereotipa ed ogni cambiamento, anche minimo può indurre violente crisi di panico.
Il linguaggio non sempre si struttura ed anche quando presente risulta ecolalico e non funzionale.
L'evoluzione può essere differente da individuo a individuo, alcuni infatti riescono a strutturare una vita autonoma mentre altri non presentano particolari miglioramenti ed in alcuni casi si accentuano i comportamenti aggressivo/oppositivi che rendono necessaria l'istituzionalizzazione.

Secondo il DSM IV la diagnosi differenziale va posta con:

  • Strutturazioni psicopatologiche analoghe presenti in patologie organiche (fenilchetonuria non trattata, embriopatia rubeolica, sclerosi tuberosa)
  • Sindrome di Rett
  • Ritardo Mentale
  • Sordità, cecità.

Per concludere questa breve introduzione, mi pare opportuno fare un accenno all'Autismo Secondario che presenta le stesse caratteristiche di quello Primario ma con la differenza che lo sviluppo del bambino risulta normale fino a 30-36 mesi, dopodiché si ha una regressione con comparsa di atteggiamenti autistici.


Autismo: una questione aperta

Le teorie sull'origine dell'autismo infantile sono molteplici e costituirebbe un lavoro assai arduo riuscire ad analizzarle tutte, pertanto mi limiterò a considerare le più importanti, frutto delle ricerche di quegli studiosi che hanno dedicato molti sforzi per la comprensione del problema.

Le psicosi infantili secondo Margaret Mahler

Margaret Mahler, una delle maggiori studiose di neuropsichiatria infantile, collaboratrice di Anna Freud a Vienna ed in seguito direttrice del "Masters Children’s Center" di New York, dedicò i suoi sforzi alla comprensione dello sviluppo dei bambini entro i primi due anni di vita.
Durante questo periodo, precedente all’acquisizione del linguaggio, molta importanza rivestono i comportamenti motori i quali dovrebbero avere un’elevata qualità empatica.

Il modello di sviluppo che deriva da questi primi comportamenti, per come li ha osservati la Mahler, pone una differenziazione tra nascita "biologica" e nascita "psicologica".
Inizialmente il bambino è un essere biologico e la Mahler definisce questo stadio, che arriva fino alla quarta settimana di vita, come fase dell’"autismo normale".
Egli è come racchiuso in una "fortezza" impenetrabile nella quale non entrano stimoli dall’esterno; l’investimento libidico è strettamente viscerale.
In seguito si ha una fase "simbiotica", fino a circa due anni e mezzo, in cui è presente una fusione allucinatoria di tipo onnipotente con la rappresentazione della madre.
L’empatia materna sostiene l’Io del bambino che altrimenti non sopporterebbe l’adattamento alla realtà.
Al termine di questo stadio si ha una fase di "separazione-individuazione" che porta alla costruzione dell’identità individuale.

Anche se molto schematica, questa descrizione degli stadi dell’evoluzione dell’identità infantile ci serve per comprendere come un cattivo funzionamento di tale meccanismo possa indurre un blocco o una regressione a stadi precedenti.
Se il bambino si fissa o regredisce allo stadio autistico, svilupperà la psicosi di tipo autistico mentre se ciò avviene allo stadio simbiotico, si verificherà una psicosi simbiotica.
La differenza appare alquanto evidente, nella sindrome autistica il bambino non percepisce la madre come tale ma tende ad identificare il proprio sé corporeo con gli oggetti inanimati dell’ambiente piuttosto che con la figura di accudimento.
Tutti i movimenti e le posture in funzione di succhiare, afferrare, sorridere risultano assenti.
Come dice la Mahler, "è caratteristico di questi bambini l’affezionarsi al seggiolone, ad un giocattolo o a qualche altro oggetto inanimato".(Mahler, 1968)
Anche lo sviluppo linguistico risulta compromesso, infatti o sono bambini "muti" o utilizzano il linguaggio come un segnale per comandare l’adulto.
In pratica essi lottano contro qualsiasi richiesta di contatto umano o sociale.

La psicosi simbiotica appare invece molto più complessa, la regressione avviene contemporaneamente alla differenziazione nel senso della separazione-individuazione, il che genera un’angoscia da separazione tale da sopraffare l’Io del bambino.
Il bambino cerca di reintegrarsi in un tutt’uno con la madre tramite illusioni somatiche ed allucinatorie; la rappresentazione mentale della madre resta una parte del delirio di onnipotenza.
I bambini simbiotici appaiono ipersensibili a qualsiasi frustrazione, tanto da bloccare lo sviluppo motorio se per caso una volta sono caduti mentre provavano a camminare; vengono spesso descritti dalle madri come "bambini che piangono sempre" (Mahler, 1968).

Nonostante le differenze, le psicosi infantili avrebbero secondo la Mahler un origine comune da ricercare in qualche errore che interviene nel corso dello sviluppo dell’identità individuale, entro i primi due anni di vita.
Il bambino nascerebbe quindi sano e con tutte le potenzialità necessarie a divenire un individuo normale.
Da cosa possono derivare quindi il blocco o la regressione ad uno stadio specifico?
Secondo la Mahler ciò sarebbe imputabile a due fattori prncipali; da un lato un bambino costituzionalmente vulnerabile con una predisposizione allo sviluppo di una psicosi, dall’altro una madre non in grado di reagire adeguatamente ai comportamenti del bambino.
Questo darebbe vita ad un circolo vizioso che comprometterebbe lo sviluppo dello stadio di separazione-individuazione.


 

La "fortezza vuota" descritta da Bruno Bettelheim

Una delle teorie più affascinanti sull’autismo è sicuramente quella di Bruno Bettelheim, descritta in modo esemplare in una delle sue opere più importanti: "La fortezza vuota".
L’autore, uno dei maggiori psicoanalisti infantili, ha avuto una vita assai dura, è scampato ai campi di sterminio nazisti ed è morto suicida in una casa di riposo nel Maryland (USA) all’età di 87 anni.
Anche se aspetti della vita personale di uno studioso possono apparire superflui nell’analisi delle teorie elaborate, nel caso di Bettelheim sono invece fondamentali.

Il primo approccio di Bettelheim con un bambino autistico avvenne all’incirca verso il 1930, nello studio del suo terapeuta, tale Dott. Sterba.
Nel 1932 Bettelheim accettò di prendere in carico una bambina autistica americana su richiesta di Anna Freud.
La terapia avrebbe dovuto svolgersi in un ambiente adatto a ristrutturare totalmente la personalità della bambina, ricostruendone la vita e quindi Bettelheim se la prese in casa con sé, tenendola per circa sei anni, fino a quando una notte di primavera del 1938 la terapia fu interrotta dalle SS che arrestarono Bettelheim per le sue origini ebraiche e lo deportarono a Dachau.

Fu proprio "grazie" a questa esperienza estrema che lo studioso si rese conto dei cambiamenti di personalità che potevano intervenire negli individui.
Come descritto da Fratini nel suo saggio su Bettelheim, "la Gestapo aveva costruito un laboratorio sperimentale per verificare la possibilità di annullare l’identità e la personalità degli individui fino a trasformarli in "uomini massa"" (Fratini, 1993).
I traumi subiti dai prigionieri, le torture, le condizioni di vita disumane provocavano la caduta dei controlli dell’Io e del Super-Io, dando luogo a comportamenti schizofrenici e provocando uno stato di completa dipendenza e di identificazione con gli aguzzini delle SS.
Alcuni individui parevano rimanere privi di qualsiasi emozione ed iniziavano ad obbedire incondizionatamente agli ordini dei torturatori, questi venivano chiamati "mussulmani".
Proprio comparando questi individui con i bambini autistici, Bettelheim elaborò la propria teoria sulle cause di questa patologia e sulle strategie necessarie ad attenuarla.
In effetti, seppur per cause diverse entrambi sembravano vivere una analoga esperienza del mondo.
Mentre per i prigionieri nei campi di sterminio la realtà che li traumatizzava era quella esterna, per i bambini autistici sarebbe quella interna.
La grossa differenza è che i bambini autistici non sono in grado di comprendere la differenza fra questi due tipi di realtà, vivendo l’esperienza interiore come una rappresentazione reale del mondo.
In entrambi i casi tuttavia l’isolamento rispetto al mondo esterno e la "rassegnazione" rispetto agli eventi costituirebbero vie di fuga da una realtà altrimenti insopportabile.

Ma che cosa può determinare in un bambino apparentemente normale un desiderio di fuga così estremo dalla realtà?
Secondo Bettelheim questo sarebbe determinato dall’ "interpretazione da parte del bambino dell’attitudine negativa con la quale gli si accostano le figure più significative del suo ambiente" (Bettelheim, 1967).
Il bambino proverebbe una sorta di forte rabbia che provocherebbe a sua volta un’interpretazione negativa della realtà, la quale non sarebbe confutata da esperienze benigne data la scarsità di tali esperienze in età precoce.
In pratica il neonato, interpretando negativamente i sentimenti e le azioni della madre, si distaccherebbe da lei progressivamente, provocando anche un distacco della madre da lui.
A questo punto si genera un’angoscia sconvolgente per il bambino che si trasforma presto in panico provocando l’interruzione del contatto con la realtà.
Per arrivare a questo punto è necessario che il bambino percepisca la fonte dell’angoscia come immodificabile.
Il sentimento negativo percepito dal bambino è il desiderio dei suoi genitori, e della madre in particolare, che egli non esista.
Bettelheim non esclude che possano esistere altri fattori che facilitano l’insorgere dell’autismo, come alcune lesioni organiche, ma resta il fatto che a scatenarlo è il sentimento di annientamento che percepisce intorno a sé.

Oltre a cercare le cause scatenanti della patologia, Bettelheim dedicò molta parte della sua vita ad educare questi bambini, e sicuramente l’esperienza della Scuola Ortogenica di Chicago, di cui fu direttore per 30 anni, costituisce una pietra miliare nel campo dell’educazione speciale.
L’intenzione era quella di accogliere i bambini gravemente psicotici in un ambiente che fosse l’opposto dei campi di sterminio, dove fosse cioè tangibile una forza positiva che permettesse di ricostruire la personalità degli individui, in contrapposizione alla forza maligna che la annientava nei campi nazisti.
L’ambiente dunque era il centro dell’intervento educativo, che non doveva limitarsi a brevi sedute di psicoterapia, ma funzionare 24 ore su 24.
I momenti "critici" della giornata come il risveglio, l’igiene personale, i bisogni corporali, le interazioni con gli altri etc… dovevano costituire il punto di partenza della terapia globale a sostegno dell’Io; l’equazione era dunque "AMBIENTE=IO AUSILIARIO".
Alla base del rapporto educativo fra il personale della scuola e i bambini doveva esserci l’ "empatia", cioè la condivisione delle emozioni; gli educatori dovevano essere in grado di provare i sentimenti dei bambini per poter rendersi conto dell’esperienza provata da essi e poter intervenire adeguatamente.
Anche in questo caso una trattazione esauriente del lavoro di Bettelheim richiederebbe la stesura di una lavoro estremamente ampio, quindi mi limiterò a questi cenni essenziali per poter proseguire con l’analisi di altre teorie sull’autismo.


 

La teoria della mente

Secondo alcune recenti ricerche condotte da vari studiosi fra cui Uta Frith e Simon Baron Cohen, l’autismo sarebbe una conseguenza derivata dal mancato sviluppo della "teoria della mente".

Gli individui hanno tutti conoscenze psicologiche che mettono in atto inconsapevolmente per relazionarsi agli altri; tali conoscenze non sono coscienti, un individuo non ci arriva con il ragionamento ma tramite le proprie credenze, le proprie conoscenze ed i propri valori.
In pratica ognuno di noi è in grado di relazionarsi in maniera adeguata calandosi nella psicologia dell’altro; se conosciamo le conoscenze di una persona possiamo intuire come agirà, se oltre alle conoscenze ne osserviamo le azioni possiamo capire quali sono i suoi desideri che, uniti a loro volta alle azioni, possono farci comprendere le sue credenze.
La teoria della mente ci aiuterebbe dunque a capire il meccanismo psicologico delle persone e sarebbe per questo alla base di una sana vita relazionale.
Gli individui autistici avrebbero quindi un deficit specifico che riguarderebbe la comprensione della mente nelle altre persone.

Questa tesi spiegherebbe come mai fra le caratteristiche primarie dell’autismo ci sono difficoltà sociali, di linguaggio ed immaginative.
Seguendo lo sviluppo dei bambini autistici è possibile verificare come alcune tappe fondamentali dello sviluppo sociale siano compromesse.
Fra i 9 ed i 14 mesi per esempio, dovrebbe essere presente l’ "attenzione condivisa", il bambino dovrebbe condividere un centro di attenzione con altre persone ma nei bambini autistici questo non avviene; lo stesso vale per il gioco di finzione, che dovrebbe comparire intorno ai 14 mesi, e per la verbalizzazione degli stati mentali (es. mamma crede che stia dormendo, ma faccio finta), che dovrebbe fare la sua comparsa verso i 2 anni.
A fronte della mancanza di "psicologia intuitiva", nei bambini autistici sarebbe intatta ed in alcuni casi ipersviluppata la "fisica intuitiva" per cui gli oggetti anche molto complessi risultano spesso attraenti e di facile comprensione ed è per questo che catturano la loro attenzione in maniera massiccia.

Secondo Uta Frith un’altra caratteristica dei bambini autistici sarebbe la mancanza della così detta "coerenza centrale", cioè la capacità di preferire gli stimoli coerenti piuttosto che quelli non coerenti provenienti dal mondo esterno.
In pratica sarebbe il singolo elemento anziché il contesto generale ad influenzare la percezione del soggetto, che si troverebbe a vivere in un mondo incoerente e frammentato.
Questo aspetto ci aiuterebbe a spiegare come mai molti bambini autistici riescono ad ottenere alte prestazioni in quei compiti che richiedono isolamento degli stimoli e distacco come la composizione di puzzle.
Anche a livello relazionale la carenza di coerenza centrale influirebbe negativamente poiché mentre i bambini normali pongono attenzione all'individuo nella sua globalità, percependone le espressioni, i movimenti e quindi i sentimenti, i bambini autistici osservano i particolari e tralasciano il resto.
Questo starebbe alla base della tendenza degli individui autistici a considerare le persone come oggetti da utilizzare per soddisfare i propri bisogni, ignorandone i sentimenti e l’ "umanità".

Le ricerche hanno anche cercato di rintracciare le cause della sindrome autistica, ma come afferma Uta Frith nel suo lavoro, "In teoria dovrebbe esistere una risposta capace di spiegare l’Autismo ed allo stesso tempo di prevenirlo indicandone la cura. In realtà, una risposta del genere non esiste.
Il quadro completo delle cause e degli effetti, con gli aspetti biologici intrecciati a quelli psicologici, tutto ciò alla fine sarà portato alla luce, ma a questo grandioso arazzo devono lavorare ancora molte mani e per molti anni!" (Uta Frith, 1989).
Secondo la studiosa è pressoché impossibile che la risposta all’autismo possa essere ricercata in conflitti psicodinamici tra madre e bambino o da forme di angoscia provate dal bambino.
La causa deve essere necessariamente ricercata in disfunzioni organiche di origine biologica.
Per quanto io trovi estremamente affascinanti ed interessanti le teorie psicodinamiche precedentemente analizzate, concordo tuttavia pienamente con la tesi organicistica della Frith, anche se non escludo che implicazioni a livello relazionale con l’ambiente familiare siano spesso presenti ed in alcuni casi inevitabili.
Elementi che aiutano a confutare le teorie psicogenetiche, al di là degli esami al cervello mediante SPECT e TAC, sono la trasversalità dell’autismo, che è presente anche in famiglie benestanti e culturalmente elevate e non solo in famiglie disagiate, e la sua immodificabilità se non a lunga scadenza.
Secondo l’autrice infatti, se un bambino soffre di un particolare disagio causato da fattori ambientali, laddove questi vengano rimossi mediante psicoterapie, allontanamento dalla situazione sfavorevole etc…, i miglioramenti comportamentali sono evidenti e si manifestano quasi subito.
Nei bambini autistici invece il processo di miglioramento è sempre lungo e non sempre favorevole.
Al momento tuttavia le ricerche neurobiologiche sono all’inizio e nei prossimi paragrafi tenterò di fare una breve carrellata delle più accreditate.

 


L’ipotesi del danno neurologico

Questa ipotesi deriva dal fatto che circa un terzo degli individui autistici iniziano a soffrire di epilessia durante l’adolescenza, e questo potrebbe essere collegato ad anormalità neurologiche presenti fino dalla nascita.
Inoltre nei bambini autistici sono presenti altri segni organici simili a quelli presenti in altri disturbi di origine neurologica, come anormalità elettroencefalografiche, nistagmo anormale, persistenza anormale di certi riflessi infantili e movimenti stereotipati.
Secondo alcuni studiosi, alla base dell’autismo ci sarebbe un danno al sistema dopaminergico del cervello, ma i riscontri sperimentali non sono del tutto soddisfacenti per avvalorare tale teoria.
Un’altra ipotesi che si tenta di avvalorare è quella dell’atrofia cellulare, cioè nei bambini autistici vi sarebbe un blocco e non un aumento della proliferazione delle cellule cerebrali, ma anche in questo caso le ricerche di laboratorio hanno individuato questo deficit come qualcosa di aggiuntivo rispetto ad un danno preesistente.
I danni a livello neurologico possono dunque persistere nei soggetti autistici, ma non sarebbero la causa bensì un’aggravante non presente in tutti i soggetti.

L’ipotesi genetica

Alcuni ricercatori si stanno dedicando all’individuazione di un "gene autistico" tramite l’analisi di associazione genetica in famiglie con uno o più membri autistici.
Circa il 2% dei fratelli di bambini autistici sono autistici a sua volta e questa percentuale è da 50 a 100 volte più alta della popolazione in generale.
Inoltre anche gli studi sui gemelli monozigoti hanno evidenziato come l’incidenza dell’autismo su entrambi si nettamente più elevata rispetto agli eterozigoti.
Inoltre circa l’82% di fratelli e sorelle di coppie monozigotiche autistiche mostrano altri deficit intellettivi, così come il 10% di fratelli e sorelle di coppie eterozigotiche.
L’autismo quindi potrebbe essere una delle manifestazioni possibili di una predisposizione genetica anomala ancora da identificare.
Secondo Patricia M. Rodier, docente universitario e ricercatrice in Virginia, uno dei responsabili della sindrome autistica sarebbe una variante allelica di un gene dello sviluppo, denominato Hoxa 1 , che svolge un ruolo di primo piano nello sviluppo del tronco cerebrale durante le prime fasi dell’embriogenesi.
Circa il 40% delle persone affette da autismo presentano la variante allelica di Hoxa 1, ma allora qual è la causa dell’autismo nel restante 60%?
La ricarcatrice è convinta che vi siano altri fattori genetici responsabili e sta indagando per individuarli.

 

Le ipotesi del danno cerebrale e delle infezioni virali

Un altro studio sui gemelli condotto da Folstein e Rutter, ha evidenziato come nelle coppie in cui uno solo dei due bambini nasce autistico, questo abbia sofferto di problemi perinatali quali anossia.
Anche complicazioni prenatali quali malattie della madre o assunzione di sostanza stupefacenti possono provocare l’autismo.
Inoltre in alcuni casi è stato evidenziato come un infezione virale in bambini piccoli abbia preceduto l’inizio di sintomi autistici.
Anche madri affette da rosolia durante la gravidanza possono generare figli autistici.

L’unica certezza: la catena causale

Da tutte le ipotesi analizzate emerge un’unica certezza: non esiste un’unica causa dell’autismo!
Questa patologia, spesso associata ad altre disfunzioni quali epilessia, ritardo mentale, disturbi motori etc…, sarebbe la conseguenza di un danno permanente nello sviluppo di sistemi cerebrali relativi ai processi mentali superiori.
Una catena di con cause potrebbe dunque influenzare il sistema critico implicato nell’autismo, ci sarebbe cioè un anello difettoso che provoca l’autismo, collegato ad altrettanti anelli di una catena anomala.
Trovare questo anello risulta dunque estremamente complesso e comunque rappresenta soltanto il "punto critico" di una serie di disfunzioni associate.


 

Principali metodologie educative

Metodologie di origine psicoanalitiche: la "Milieau Therapy"

Secondo Bruno Bettelheim, affinché una relazione educativa risulti efficace deve essere basata sulla "comunicazione empatica" che, messa in atto dagli educatori, svolge un ruolo mediatrice fra l'ambiente esterno ed il mondo interiore del bambino.
Tale comunicazione si compone di due momenti fondamentali, strettamente connessi fra loro: quello dell'"ascolto", che permette la comprensione dell'altro, e quello della "risposta", poiché gli effetti di una mancata risposta o di una risposta inadeguata possono essere devastanti.
All'"Orthogenic School" ciascun membro del personale doveva sottoporsi ad "autoanalisi permanente" unita all'analisi reciproca svolta insieme ai colleghi.
Ciò permetteva di elaborare eventuali problematiche sorte durante il lavoro quotidiano con i bambini e di trovare soluzioni adeguate.
Questo risultava estremamente utile in quanto "soltanto gli adulti che riuscivano ad affrontare con successo le loro crisi personali si dimostravano in grado di aiutare realmente i bambini nel loro difficile processo di guarigione" (Fratini, 1993).
La comprensione empatica era dunque estesa a tutti i membri della comunità terapeutica, adulti e bambini, operatori e pazienti, al fine di rendere l'ambiente realmente terapeutico ed accogliente.
La condivisione delle emozioni rendeva possibile decifrare il comportamento dei bambini al fine di soddisfarne realmente i bisogni, nel momento preciso in cui si manifestavano.
In tal modo si rafforzava l'IO del bambino e si creava una "fiducia di base" simile a quella di un "setting analitico", che permetteva al bambino autistico di ricevere qualcosa di piacevole dall'ambiente.
La possibilità di esercitare un controllo sull'ambiente faceva sì che il bambino fosse più disponibile ad instaurare rapporti significativi con gli adulti che gli permettevano di uscire gradualmente dal suo isolamento.

Dal punto di vista pedagogico è possibile affermare che la teoria di Bettelheim si centra fondamentalmente su tre punti:

1. Il primo è la ricerca costante di una "cultura dell'ascolto" (Fratini, 1993) che permetta di costruire una comunicazione autentica ed una relazione vera con l'altro, tramite il confronto delle reciproche esperienze personali.

2. Il secondo punto pone al centro l'"esempio" che la figura educativa deve costantemente fornire senza imporlo, dopo aver messo in discussione se stesso. Il modello è quindi "bilaterale" in quanto l'"adulto e il bambino si educano reciprocamente in una comune ricerca di senso" (Fratini, 1993).

3. Il terzo punto pone al centro la valorizzazione dei processi su cui si fonda e si costruisce l'autostima personale, che si realizza per mezzo si una ricerca interiore sul significato delle proprie esperienze e sulla costante e condivisa integrazione di sé.

Certi aspetti del modello proposto da Bettelheim sono tutt'oggi validi e possono essere applicati in tutti quei contesti dove è necessario instaurare relazioni educative stabili, in particolare se è preminente la vita comunitaria.


 

Metodologie ad indirizzo comportamentale

I metodi di origine comportamentale si basano sull'osservazione diretta e rigorosa del comportamento del soggetto, cercando di arrivare ad una descrizione esaustiva in cui si specifica qual è l'azione che interessa, quando, dove e quante volte viene ripetuta.
Il comportamento deve essere scomposto in tante piccole unità osservabili in maniera da poterle misurare in termini "oggettivi", così che tutti gli operatori siano concordi sui comportamenti che il soggetto manifesta.

Secondo la teoria comportamentale, il ciclo dell'apprendimento si basa su 3 elementi:
STIMOLO; RISPOSTA; CONSEGUENZA.
Lo Stimolo è una situazione ambientale esterna in grado di determinare una Risposta, che a sua volta genera una Conseguenza, cioè una circostanza ambientale che funge da "Rinforzatore" aumentando la probabilità che quella determinata risposta venga nuovamente emessa o, in caso la Conseguenza sia negativa, che il processo di apprendimento venga bloccato.

Ecco due semplici esempi per chiarire questo concetto:
SITUAZIONE 1: Giulia è seduta al banco, davanti a sé ha una pallina da Ping Pong. 
Giulia soffia sulla pallina che si muove, l'insegnante dice: "Brava Giulia, hai soffiato sulla pallina!" e le da un pezzo del suo dolce preferito.

SITUAZIONE 2: Bruno è seduto al banco, davanti a sé ha una pallina da Ping-Pong.
Bruno soffia sulla pallina che si muove, l'insegnante dice: "No Bruno! Non soffiare sulla pallina!" e si allontana da lui per 1 minuto.

Come possiamo intuire, mentre Giulia soffierà nuovamente sulla pallina poiché la conseguenza del gesto è stata positiva, Bruno non ripeterà l'azione.
In realtà è probabile che Bruno non ripeta l'azione a meno che l'allontanamento dell'insegnante non costituisca per lui un rinforzo positivo.
Infatti se a Bruno quell'insegnante non piace, ripeterà l'azione di soffiare sulla pallina per farlo allontanare nuovamente.
Il così detto "rinforzatore" può infatti costituire un'insidia se non usato correttamente.
Prendiamo ad esempio un terzo caso:
SITUAZIONE 3: Alessio tira un calcio ad un compagno, l'insegnante lo vede e gli dice: "Molto male Alessio, esci subito dall'aula per mezz'ora!"
Alessio esce e fuori dall'aula incontra un bidello con il quale inizia a parlare di calcio e per mezz'ora discute sui problemi della sua squadra preferita.
In questo caso è molto facile che una volta richiamato in classe, Alessio cerchi di far di tutto per poter tornare fuori.

Da questi esempi è possibile dedurre come la relazione educativa debba essere il più possibile positiva e ben accettata da entrambi i soggetti, e come il "setting" debba essere costantemente controllato dall'educatore, al fine di evitare che variabili impreviste (es. il bidello calciofilo) possano disturbare il lavoro educativo.
A proposito dei rinforzatori, è necessario sottolineare come il loro utilizzo sia estremamente complesso; non sono sufficienti infatti una caramella o un balocco al termine di un lavoro ben fatto, anzi questo tipo di rinforzatore (tangibile) può instaurare un rapporto "perverso" tra educatore e ragazzo, con quest'ultimo che svolge i compiti assegnati solo in funzione del premio, senza rendersi conto che il lavoro che svolge ha una sua utilità.

I rinforzatori possono essere inizialmente classificati in "Primari" e "Secondari":
I rinforzatori Primari soddisfano bisogni vitali e non vengono utilizzati poiché costituirebbero una grave forma di violenza psico-fisica fatta al soggetto (se non lavori non mangi etc…).
I rinforzatori "Secondari" possono essere divisi in "Tangibili" (giocattoli, dolci, caramelle…); "Simbolici" (soldi, voti…); "Dinamici" (possibilità di svolgere un gioco o un'attività piacevole); "Sociali" (rapporto con altri individui).
Un corretto uso dei rinforzatori dovrebbe partire da quelli tangibili per approdare gradualmente a quelli sociali.
Vale molto di più un BRAVO! Detto con sincerità da una figura adulta di riferimento che 10 caramelle.
Un'altra distinzione necessaria è quella fra rinforzatori "Estrinseci" ed "Intrinseci"; i primi sono comunque esterni alla relazione educativa, mentre con i rinforzatori Intrinseci la gratificazione è interna all'individuo che è consapevole di aver fatto bene e lo percepisce nel miglioramento della sua condizione.
In ultima analisi, i rinforzatori possono essere artificiali o naturali (dati dall'ambiente).
È possibile dunque affermare che la relazione educativa debba inizialmente prevedere rinforzatori "tangibili, estrinseci, artificiali" per passare molto gradualmente a quelli "sociali, intrinseci, naturali".
Tale passaggio non è semplice anche tenuto conto del fatto che se inizialmente i rinforzatori vengono forniti continuamente, la loro frequenza deve attenuarsi fino ad essere previsti "una tantum".

Un altro elemento fondamentale del metodo comportamentale è il "Modellaggio" (shaping), cioè il rinforzo esclusivo di quei comportamenti che si avvicinano di più all'obiettivo.
Tale metodo viene anche definito "per approssimazioni successive", in quanto il target viene raggiunto incanalando l'individuo verso la strada giusta.
Altre componenti sono la "Tecnica dell'aiuto" (Prompting) che consiste nell'introdurre stimoli di sostegno temporaneo e l'"attenuazione dell'aiuto" (Fading) ogni qualvolta l'individuo consolida l'obiettivo da raggiungere.
Per insegnare a leggere la A ad un bambino, posso inizialmente disegnarla a forma di "Ape", con tanto di antenne, ali, occhi e pungiglione.
Quando il bambino impara a leggerla correttamente, posso introdurre una A dotata di ali ed antenne, poi una soltanto con le ali, fino a presentargli la A normale.
Per concludere questa breve panoramica sul metodo comportamentale, è necessario puntualizzare come tutte queste strategie possano essere adottate soltanto dopo un'accurata "analisi del compito" (task analysis), cioè lo spezzettamento di un compito in unità sequenziali più semplici ed alla portata del soggetto, in modo da poter procedere per "steps" fino al raggiungimento dell'obiettivo.


 

Il Metodo TEACCH

La sigla "TEACCH" sta a significare "Treatment and Educational of Autistic and releted Comunication Handicapped children" (trattamento ed educazione di bambini con autismo e con handicap nella comunicazione), è un programma di stampo comportamentale iniziato da Eric Schopler nel 1966 grazie al finanziamento del governo del North Carolina (USA).
Assieme ai suoi collaboratori, Schopler ha dimostrato come i soggetti autistici sviluppino un particolare stile cognitivo che rende difficile l'aggiunta di significato alla pura e semplice percezione.
I bambini normali nascono con la capacità biologica di aggiungere significato alla percezione, grazie alla stimolazione sociale.
Questo fa sì che istintivamente tendano a preferire "suoni" umani, arrivando ad analizzarli e capirli, fino a sviluppare la comunicazione.
Lo stesso vale per il comportamento che viene acquisito al fine di essere accettati socialmente.
I bambini autistici presenterebbero un deficit di questo "talento" e non sarebbero in grado di fornire risposte adeguate alle percezioni.

Il metodo TEACCH dovrebbe servire a porre un rimedio a questa carenza, utilizzando canali appropriati e interventi strutturati per raggiungere il risultato.
In particolare il metodo TEACCH è riconducibile ai seguenti principi:

  • Conoscere l'autismo ed in particolare le aree di debolezza ed i punti di forza riscontrabili nei soggetti affetti da tale sindrome;
  • Migliorare l'adattamento dell'individuo con autismo mediante l'incremento del livello di abilità e la modifica o la strutturazione dell'ambiente in funzione del deficit;
  • Valutare il soggetto, le abilità acquisite, non acquisite ed emergenti al fine di individualizzare i programmi;
  • Perseguire un insegnamento strutturato che faccia leva sui punti deboli del soggetto e valorizzi gli aspetti forti;
  • Usare la comunicazione visuale o concreta piuttosto che quella verbale o astratta;
  • Collaborare con i genitori e con tutte le strutture che si occupano dell'educazione del soggetto (scuola, palestra ctc…).

In particolare, la "strutturazione" del contesto educativo è fondamentale al fine di individualizzare l'intervento e renderlo gratificante; in questo modo si cerca di rendere comprensibile e prevedibile il contesto al soggetto, in modo che egli sviluppi forme di adattamento e autonomia.

Si tratta di sostituire l'"astratto" con il "concreto", nell'ottica di tornare gradualmente all'"astratto".
Le forme di comunicazione per esempio devono essere scelte a seconda del livello del soggetto e possono prevedere:

  • Oggetti concreti
  • Immagini (simboli pittografici, disegni, fotografie)
  • Parola scritta

In un soggetto con scarsa capacità comunicativa si sceglierà un livello visivo, magari mediante oggetti concreti da associare all'immagine di una determinata attività.
In seguito è probabile che il soggetto acquisisca una forma di comunicazione superiore.
Anche l'ambiente fisico deve essere strutturato in modo da ridurre al minimo i segnali visivi e uditivi estranei alle attività di apprendimento, per aiutare il soggetto a concentrarsi.
Il luogo di apprendimento dovrebbe essere suddiviso in modo visivamente chiaro in aree e confini inerenti alle diverse attività da svolgere, in modo da permettere ai soggetti di identificare e memorizzare le attività che si realizzano in quel luogo e le relazioni che intercorrono tra le varie attività.
Fondamentale deve essere l'area di "transizione" dove esporre gli schemi della giornata che consistono in una specie di promemoria visivi che indicano le attività da svolgere e la loro sequenza nella giornata.
Il soggetto, una volta giunto nello spazio di lavoro, dovrà essere reso consapevole del compito che dovrà svolgere.
Tutto il materiale per il compito dovrà essere allineato in modo visivamente chiaro e coerente ed al termine del compito deve essere prevista una ricompensa (rinforzatore), da mostrare anch'essa all'inizio.
Per lo svolgimento del compito, deve essere prevista la possibilità di usufruire di riferimenti visivi sulle richieste dei compiti e sulle modalità di esecuzione.
Inizialmente l'educatore può aiutare il soggetto a svolgere il compito ma l'obiettivo deve essere quello di rendere il soggetto autonomo.

Oltre alla strutturazione, nel metodo TEACCH è previsto l'incremento delle abilità attraverso strategie tipiche dell'intervento comportamentale, le consegne dei compiti possono essere espresse, in ordine decrescente a seconda del maggiore o minore aiuto, mediante "manipolazione" con cui l'educatore guida fisicamente l'individuo, "assistenza diretta", "pantomima" e, nei soggetti ove ciò è possibile, "consegne verbali".
Per esemplificare quanto descritto fino ad ora, riporterò di seguito un intervento tratto dal volume di Schopler e collaboratori "Attività didattiche per autistici" (Schopler et al., 1983.):

RECUPERARE UN PREMIO SOTTO UNA TAZZA

Scopo: migliorare l’attenzione visiva
Obiettivo: girare una tazza per recuperare un premio alimentare
Materiali: tazza, piccoli premi alimentari (caramelle, noccioline, uvetta…)
Procedimento: sedetevi al tavolo di fronte a Nancy. Tenete in evidenza uno dei premi e fatelo passare più volte nel campo visivo della bambina.

Dite: "Guarda Nancy!" Accertatevi che stia guardando e mettete il premio sul tavolo di fronte a lei. Coprite lentamente il premio con la tazza. Prendetele la mano ed aiutatela a girare la tazza tutto d’un colpo. Dimostratevi entusiasti quando compare il premio e dite "Guarda Nancy!". Ripetete la procedura con un altro premio, ma questa volta limitatevi ad indicarle che deve girare la tazza autonomamente. Continuate l’attività finché la bambina non sia in grado di guardarvi la mano, notare dove viene messo il premio e girare la tazza autonomamente.

Questa attività ci mostra chiaramente come il metodo TEACCH tenda a rafforzare l’autonomia del soggetto tramite attività strettamente strutturate, e come il facilitatore tenda a scomparire gradualmente (fading).


 

L'intervento cognitivo

Partendo dalla "Teoria della Mente", alcuni studiosi veneti hanno messo a punto, con la collaborazione del "Centro Studi Erickson" di Trento, un programma di intervento cognitivo che si propone di sviluppare le competenze rappresentative e metarappresentative del bambino, la capacità di integrazione delle informazioni e le capacità di "problem-solving".

Il programma si divide in 11 aree di interventi specifici:

1. nella prima area si propongono l'analisi e l'integrazione di informazioni visive, mediante l'esecuzione di alcuni puzzle dal numero di tasselli via via crescenti, al termine dei quali sono previste delle domande sulle caratteristiche dei personaggi rappresentati (pensieri, desideri, emozioni…).

2. La seconda area propone la deduzione di un elemento a partire dall'immagine completa, tramite la presentazione di disegni ai quali manca una parte che deve essere inferita dal contesto.

3. Nella terza area viene proposta l'integrazione di punti di vista differenti tramite l'analisi di disegni in cui i personaggi colgono un medesimo evento tramite differenti sensi e punti di vista.

4. La quarta area è centrata sul riconoscimento delle emozioni mediante l'associazione di espressioni del viso adatte a personaggi in diverse situazioni, ipotizzando poi un possibile evento antecedente e il pensiero precedente.

5. L'area 5 si basa sull'integrazione di informazioni linguistiche e visive da punti di vista differenti, tramite lo sviluppo di capacità di rappresentazione dei pensieri e dei desideri differenti che le persone possono avere su un medesimo evento. Vengono proposte schede in cui sono raffigurati diversi personaggi ai quali occorre assegnare i pensieri corrispondenti ad uno stesso evento.

6. La sesta area propone l'analisi di coerenza di un testo al fine di sviluppare competenze di coerenza centrale. Vengono presentate due storie le cui frasi sono mischiate, il bambino dovrà dividerle per coerenza e significato.

7. L'area successiva propone l'individuazione degli indici referenziali di un testo al fine di estrapolare delle informazioni di carattere interpersonale in riferimento al contenuto. A partire da alcune lettere scritte a destinatari differenti, il bambino deve cogliere il grado di confidenza e gli elementi che lo definiscono.

8. L'area 8 si concentra sulla comprensione di parole e frasi ambigue al fine di sviluppare la capacità di servirsi del contesto per l'interpretazione del significato più adeguato. Vengono proposte alcune frasi da completare e il bambino deve scegliere come completarle avendo tre alternative a disposizione.

9. La nona area propone la previsione del comportamento dei personaggi di una storia onde sviluppare la capacità di inferire il pensiero e quindi l'azione altrui, indipendentemente dallo stato reale delle cose e dallo stato mentale delle altre persone. Al bambino vengono mostrate delle vignette da riordinare, in cui un personaggio crede una cosa differente dalla realtà.

10. L'area 10 si concentra sullo sviluppo di una maggiore autonomia nello svolgimento dei compiti, sull'acquisizione di una maggiore abilità organizzativa e attenzione per le informazioni rilevanti; vengono proposti labirinti dove è necessario considerare contemporaneamente un altro compito (scegliere il percorso che permette di acquisire determinati elementi…).

11. L'ultima area ha lo scopo di far utilizzare al bambino le competenze rappresentative per abilità relazionali e per l'identificazione e la previsione del pericolo.


 

L'inserimento scolastico

Un'esperienza diretta

In quest'ultimo breve capitolo descriverò le strategie messe in atto al fine di inserire un ragazzo presso un istituto professionale alberghiero.

Il caso presenta varie complessità, si tratta infatti di un quindicenne diagnosticato come autistico che durante le scuole elementari ed i primi due anni di scuola media ha alternato momenti di stabilità emotiva a gravi crisi dirompenti durante le quali tendeva a lanciare contro le persone qualsiasi tipo di oggetto.
Da un punto di vista didattico, nel corso della terza media (ripetuta per due volte) è stato portato avanti il programma "cognitivo" della Erickson, sul riconoscimento degli stati emotivi.
Anche la situazione familiare risulta complessa in quanto il padre del ragazzo è deceduto e la madre, pur essendo molto sensibile ai problemi del figlio, ha mostrato spesso difficoltà nel riuscire a gestirlo da sola.

È necessario premettere come per un soggetto con questa tipologia di handicap, qualunque cambiamento dei ritmi di vita e degli ambienti possa costituire fonte di estrema ansia, pertanto il passaggio dalla scuola media alla superiore deve essere gestito con molta attenzione al fine di evitare traumi eccessivi che possono rivelarsi deleteri e portare a regressioni nel comportamento e negli apprendimenti raggiunti.

Il primo giorno di scuola, sarebbe opportuno che il ragazzo ritrovasse le stesse figure di riferimento lasciate l'anno prima, quindi la presenza dell'insegnante di sostegno e dell'educatore dovrebbe essere indispensabile.
Nel nostro caso, l'accoglienza il primo giorno si è svolta proprio secondo questa modalità, concordata fino dall'anno precedente con una serie di incontri fra gli insegnanti delle due scuole, la famiglia e gli specialisti. 
Bisogna inoltre segnalare come nel mese di Maggio la nuova scuola fosse stata visitata un paio di volte dal ragazzo, accompagnato dall'insegnante e dalla madre.
All'ingresso erano pertanto presenti sia l'insegnante e l'educatore della scuola media che quelli dell'istituto alberghiero.
Dopo un breve momento dedicato alle presentazioni, in cui è stato ripetuto più volte al ragazzo che quella sarebbe stata la sua nuova scuola, si è proceduto ad un esplorazione dell'edificio, con particolare riguardo a quegli spazi che in seguito sarebbero stati più utilizzati.
Molta importanza è stata data all'aula di sostegno, al bagno, alle varie sale/laboratorio (cucina, bar, ristorante) ed alla palestra.
Prima di introdurre il ragazzo in classe è stato convenuto di far ripetere il giro di esplorazione per la prima settimana, spiegando la funzione di ciascuno spazio, magari con esempi pratici (es. mostrare come si fa il caffè nella sala bar).
Le azioni sono state verbalizzate il più possibile ed è stata descritta la funzione degli oggetti ed i tempi in cui sarebbero stati usati (es. "il Martedì alle 10 impareremo ad apparecchiare i tavoli").
Prima della fine della mattinata, l'insegnante e l'educatore della scuola media ci hanno salutato ed hanno ripetuto al ragazzo che da quel momento loro non sarebbero più stati con lui perché nella scuola nuova anche gli insegnanti sono nuovi.
A questo punto è stato ripetuto il giro esplorativo con la sola presenza delle nuove figure di riferimento.
Il secondo giorno di scuola, dopo l'esplorazione è stata proposta un'attività didattica nell'aula di sostegno; tale attività consisteva nel riprendere un lavoro iniziato l'anno prima alla scuola media e non fatto terminare volutamente, per poter creare una sorta di continuità.
In seguito è stata proposta la creazione di un cartellone con descritte le sequenze temporali della mattinata scolastica relative alle attività programmate nella prima settimana.
Tale cartellone è stato poi appeso all'ingresso in una posizione ben visibile in modo da essere consultato dal ragazzo al suo arrivo.
Attraverso disegni si può vedere cosa c'è da fare:

  • salutare il personale in portineria
  • recarsi nell'aula di sostegno
  • spogliarsi
  • fare il giro esplorativo
  • fare le attività proposte
  • fare ricreazione
  • fare altre attività
  • vestirsi
  • attendere la mamma

Il riferimento temporale è ovviamente il suono della campanella, che deve essere disegnata rispettando i tempi reali (es. prima campana: salutare il personale, recarsi nell'aula di sostegno, spogliarsi, fare giro esplorativo, poi suona la seconda campana…).
Ad ogni variazione di programma, il cartellone verrà aggiornato in maniera precisa e sempre con la collaborazione del ragazzo.

La seconda settimana si è aperta con la proposta di andare a conoscere i nuovi compagni, specificando che non sarebbero stati gli stessi dell'anno precedente.
Dopo il giro esplorativo, siamo andati in classe ed i compagni si sono presentati uno ad uno e, come precedentemente concordato hanno consegnato al ragazzo una foto tessera.
In seguito, al ritorno nell'aula di sostegno è stato prima aggiornato il cartellone ed in seguito, su un quadernone, sono state attaccate le foto dei compagni cercando di ricordarne via via i nomi.
Tale lavoro è servito poiché nelle settimane successive il ragazzo si sarebbe seduto ogni giorno accanto ad un compagno differente, imparandone il nome e riportandolo sotto la foto giusta al fine di prendere confidenza con le facce nuove.
Dopo le prime due settimane il ragazzo ha iniziato ad ambientarsi nella nuova situazione ed è stato possibile iniziare a farlo girare da solo per l'edificio scolastico assegnandogli piccole commissioni quali fare le fotocopie, andare a cercare del materiale etc…
Dopo circa due mesi di scuola anche l'integrazione con il gruppo classe ha raggiunto un ottimo livello e molti momenti della vita scolastica vengono vissuti insieme senza ansia o comportamenti disturbanti.

 

Una breve riflessione

L'esperienza appena descritta è stata possibile più che altro per la buona volontà degli operatori coinvolti, infatti è molto raro riuscire a concordare e pianificare un inserimento in una nuova scuola.
Il più delle volte il bambino o il ragazzo portatore di handicap viene lasciato solo ad affrontare il cambiamento, con tutti i disagi, le ansie e i dubbi che questo comporta.
L'augurio è che, anche in base alle nuove disposizioni legislative inerenti l'autonomia degli istituti scolastici, il lavoro di rete si sviluppi in tutti i settori e che il percorso di ogni singolo alunno portatore di handicap sia attentamente seguito dalla scuola materna alla 5^ superiore, mediante collaborazione, incontro e confronto fra i vari operatori coinvolti.

 


Bibliografia

  • AA.VV. Manuale di pedagogia speciale, Bari, Laterza, 1996.
  • AA.VV. Intervento cognitivo nei disturbi autistici e di Asperger, Trento, Erickson, 2000.
  • Baron-Cohen, Simon, L'autismo e la lettura della mente, Roma, Astrolabio,1997.
  • Bettelheim, Bruno, The empty fortress, New York, The Macmillan Company, 1967, trad.it., La fortezza vuota, Milano, Garzanti, 1976.
  • Fossi, Giordano – Pallanti, Stefano, Manuale di Psichiatria, Milano, Ambrosiana, 1994.
  • Foxx, Richard. M., Increasing behaviors of severely retarded and autistic persons. Decreasing behaviors of severely retarded and autistic persons, Illinois, Research press, 1982, trad. it., Tecniche base del metodo comportamentale, Trento, Erickson, 1986.
  • Fratini, Carlo, Bruno Bettelheim, Napoli, Liguori, 1993.
  • Frith, Uta, Autism-explaining the enigma, Oxford, Blackwell, 1989, trd.it., Autismo- spiegazione di un enigma, Bari, Laterza, 1998.
  • Jordan, Rita – Powell, Stuart, Understanding and teaching children with autism, West Sussex, John Wiley & sons Ltd, 1995, trad.it., Autismo e intervento educativo, Trento, Erickson, 1997.
  • Mahler, Margaret, Infantile psychosis, New York, I.U.P, 1968, trad.it. Le psicosi infantili, Torino, Boringhieri, 1972.
  • Mastrangelo, Glauco, Manuale di Neuropsichiatria Infantile, Roma, Il Pensiero Scientifico, 1995.
  • Rodier, Patricia, Le cause dell’autismo in Le Scienze n° 380, aprile 2000.
  • Schopler, Eric et al., Individualized assessment and treatment for autistic and developementally disabled children, North Carolina, Pro-Ed Inc., 1983, trad.it., Attività didattiche per autistici, Milano, Masson, 1995.
  • Williams, Daniel, Nessuno in nessun luogo, Parma, Guanda, 1992.
  • Wing, I bambini autistici, Roma, Armando, 1974.


Autore: Massimo Mangani: è laureato con il massimo dei voti in Scienze dell'Educazione presso l'Università degli Studi di Firenze ed ha frequentato il Corso Biennale Polivalente per il Sostegno all'Handicap, specializzandosi brillantemente, sempre presso l'ateneo fiorentino. Attualmente è docente specializzato presso l'Istituto Superiore Balducci di Pontassieve (Firenze) e si occupa di problematiche educative con particolare riguardo all'autismo e ai disturbi da deficit d'attenzione e iperattività (ADHD). Collabora inoltre con vari operatori dell'Azienda Sanitaria di Firenze.


copyright © Educare.it - Anno III, Numero 3, Febbraio 2003