Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXIV, n. 11 - Novembre 2024

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Il valore della speranza nell'occupazione giovanile e nella formazione professionale

speranza giovaniL’articolo analizza alcune delle maggiori criticità del presente e del futuro nell’occupazione giovanile, individuando nell’orientamento e nella formazione professionale i dispositivi pedagogici per affrontare e cercare di superare tali criticità. In una lettura educativa della situazione trova spazio la categoria della speranza, intesa in senso attivo, come disposizione interiore necessaria ad affrontare una delle principali sfide dell’adultità: quella del lavoro.

 

Introduzione

La speranza è un tema educativo da sempre presente nella riflessione pedagogica, che spesso ha assunto la categoria di quaestio, specie quando collegata alla tradizione pedagogica ellenica o cristiana con la concezione della speranza come di una virtù, vincolata quindi a una dimensione metafisica. La speranza però è anche una categoria di natura fenomenologica che esprimendo una tensione verso, risulta essere una traiettoria che spinge la persona in direzione del desiderio, una chiave di lettura esistenziale oggi in calo tra i giovani (Iavarone, 2023). In chiave psicologica, la speranza può essere indagata attraverso i costrutti della Positive Psychology (Csikszentmihalyi e Seligman, 2000), in quanto determinata da due delle tre dimensioni con cui si spiega l’agire umano: la permanenza e la pervasività. La terza dimensione è la personalizzazione (Seligman, 2009).

Tali premesse sono utili per prendere il largo dal rischio di affrontare il tema in modo retorico, quando è necessario presentare la speranza come una sfida educativa e sociale, una challenge, che implica impegno e non un’attesa inerme (come insegna il detto popolare: “chi di speranza vive, disperato muore”). Una speranza attiva quindi, compagna nella definizione del proprio orientamento professionale, da intendersi non solo in senso tecnico, ma pedagogico, proprio come sosteneva Pietro Braido (1954) nel primo numero di Orientamenti Pedagogici (Orientare è educare).

Dati su alcune sfide di “disperata-speranza” giovanile per il lavoro

Le sfide formative e occupazionali giovanili attualmente sono molte ed è impossibile comprenderle tutte in un articolo. Per tale ragione si è deciso di presentare solo quelle più importanti in termini di speranza non solo occupazionale, ma più propriamente legate a una dimensione lavorativa che trova le sue radici nella dimensione esistenziale della persona, più che sulle urgenze e i cambiamenti del mercato del lavoro. Si pensi ai cambiamenti repentini dovuti al sempre maggiore spazio che ha l’intelligenza artificiale, oppure alla scomparsa di alcuni lavori o alla frazionabilità di alcune figure professionali.    

Neet: guardare alle cause e non alle conseguenze

I primi giovani a cui dobbiamo rivolgerci in un’ottica di speranza del lavoro sono quei soggetti che di fatto hanno vissuto insuccessi formativi e anche lavorativi, coloro che oggi vengono classificati nella categoria dei Neet, ovvero giovani tra i 15 e i 29 anni non occupati, né impegnati in percorsi di istruzione e formazione. Secondo noi i problemi fondanti non sono la scuola o il lavoro, in quanto le radici di questi bisogni non vanno ricercati nelle sovrastrutture della formazione o del mercato del lavoro, ma nel cuore della persona e delle mancate relazioni nei diversi contesti di vita. Alcuni dati che aiutano a far chiarezza in tal senso. Un recentissimo studio dell’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) a firma di Tiziana D’Amico (2024) ci ricorda che i Neet in Europa e nel mondo sono circa 289 milioni (il 21,7% della popolazione mondiale) e che questi giovani sono al centro delle sfide del nostro tempo, tanto che la riduzione del numero è uno dei criteri tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile approvati dall’ONU, nell’ambito dell’Agenda 2030. L’Italia non viaggia con medie alte come alcuni paesi africani che hanno più del 40%, ma il dato tra il 15 e 20%, a seconda delle zone, è comunque preoccupante. L’aspetto interessante di questo studio, oltre ad alcune questioni tecniche come la differenza fra inoccupati e neet, risiede nel trovare dei fattori comuni ai neet europei, tra cui i fattori di rischio dello status di neet.

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Autore: Carlo Macale è professore associato di Pedagogia generale all'Università degli Studi di Roma “Niccolò Cusano”


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