- Categoria: Esperienze a scuola
- Scritto da Paola Campanaro
Il periodo della speranza: attività di sostegno con minori antisociali nella scuola
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Le esperienze maturate all’interno della scuola con il mio gruppo di lavoro (www.cosmosociale.it) hanno permesso di identificare alcuni elementi di particolare importanza nell’intervento a favore di minori definiti come “antisociali”, che vengono presentati in questo articolo con la speranza di poter contribuire all’approfondimento di un ambito di particolare interesse per l’educazione.
I progetti educativi a cui mi riferisco hanno per protagonisti alunni considerati dall’istituzione scolastica come “indisciplinati, incontenibili, senza alcun limite, senza rispetto per sé e per gli altri. Con loro in classe – dicono gli insegnanti - è impossibile svolgere una lezione”.
Sono in larga parte studenti con gravi difficoltà a lavorare in gruppo, a mantenere atteggiamenti composti e l’attenzione sul compito per tempo prolungato; spesso sono violenti verso i compagni, gli insegnanti e talvolta anche verso sé stessi; sono provocatori e scarsamente motivati allo studio e all’apprendimento.
La scuola, prima di arrivare a noi professionisti, ha tentato spesso molte vie diverse per arginare e risolvere la situazione. In quasi tutti i casi il Servizio di Neuropsichiatria Infantile non ha concesso la certificazione del minore e la conseguente possibilità di un’insegnante di sostegno, perché i minori segnalati non presentano deficit cognitivi. Il bambino con tendenze antisociali, infatti, è generalmente sano nella struttura e nelle funzioni mentali, qualche volta particolarmente intelligente; ma la sua presenza in classe non permette lo svolgimento delle lezioni, poiché rallenta e disturba il gruppo classe. Le famiglie degli alunni si lamentano e, talvolta, denunciano la Scuola rivolgendosi all’Ente Locale o alla Questura. Le complicazioni che ne derivano, in quei casi, sono notevoli.
Ap-punti ed ipotesi
“La scuola, sostiene Freud nel 1910 in Contributi a una discussione sul suicidio, non deve dimenticare che tratta con individui immaturi ai quali non si può negare il diritto di attardarsi in certi stadi dello sviluppo e anche su stadi spiacevoli. La scuola non deve assumere il carattere inesorabile della vita: essa non dovrebbe essere che un gioco della vita”.
Nelle situazioni incontrate emerge talvolta una scuola con funzioni di “contenitore” di individui ancora immaturi, ma che nello stesso tempo è costantemente alla ricerca di strumenti che l’aiutino a svolgere un ruolo che si confronta quotidianamente con innovazioni e rapide modificazioni socio-culturali.
Secondo Winnicott, il bambino con tendenze antisociali ha sperimentato un'assenza di "sostegno"; tale assenza non si è verificata però nelle prime fasi dell'esistenza, ma solo successivamente è stato deprivato da alcuni aspetti essenziali nella sua vita familiare. Il bambino con tendenze antisociali, a mio avviso, sembra voler dire: "l'ambiente deve pagare e deve riparare per le sofferenze che mi ha provocato".
A., un bambino di 5 anni coinvolto in uno dei nostri interventi alla scuola materna, sembrava fosse spinto da una forza più forte di lui quando aveva comportamenti distruttivi. Se gli fosse stato impedito di agire in quel modo probabilmente avrebbe provato un senso di pazzia e di frustrazione; solo quando la relazione con l’educatrice ha permesso il contenimento fisico delle sue crisi motorie e verbali, si è costituito un clima di fiducia e si sono gettate le basi per un rapporto positivo, di sincero affetto e preoccupazione responsabile.
Sembra che le tendenze inconsce di questi bambini e ragazzi abbiamo la finalità di obbligare qualcuno (nel nostro caso la scuola) ad occuparsi di loro, come una speranza di trovare "sostegno".
W., anche nei giorni di chiusura della scuola, passava delle ore con le bidelle o, se non vi era nessuno, stava a fumare davanti al muretto che delimitava il cortile della scuola. Sono queste le braccia materne di cui il ragazzo si sente deprivato ma che possono essere fornite attraverso gli interventi individualizzati.
La scuola, dal canto suo, di fronte a gravi segnali di disagio e di devianza ha chiesto aiuto ai Servizi territoriali che hanno finanziato un intervento educativo sul minore su scala globale e non solo in ambito scolastico. Per questo motivo, quindi, quando un alunno non si presentava a scuola, l’operatore è andato a cercarlo a casa o nelle strade del suo quartiere.
Soffermiamoci su questo: per un bambino un’esperienza fortemente traumatica non è tanto quella di non essere trovato, quanto di non essere cercato; quando scappa da casa, se non si presenta a scuola, manda dei forti segnati d’aiuto e di richiamo. Raccontava un paziente accolto in una comunità di recupero per tossicodipendenti: “Ero scappato di casa perché ero molto arrabbiato, ero piccolo, facevo la scuola media. Sono andato via quando ancora era ancora pomeriggio. Per un’intera notte sono stato fuori casa, non ricordo dove. Quando sono tornato, il giorno dopo, nessuno si era accorto che me ne ero andato. Sono rientrato in camera mia e ho ricominciato la mia vita, come se nulla fosse accaduto per nessuno. Tranne che per me”.
La funzione della speranza
Il lavoro del counsellor e dell’operatore sociale che lavora con minori difficili deve essere accompagnato dal sentimento della speranza, altrimenti rischia il collasso personale e professionale. Questo atteggiamento permette di avere come punto di partenza la certezza che ciascun genitore, insegnante, educatore, professionista coinvolto, fa “il meglio che può” per il minore; anche nelle situazioni più devastanti e critiche, è importante che si parta dalla certezza della positività. Un continuo lavoro di analisi e di supervisione permette di comprendere che il comportamento distruttivo messo in atto dal bambino ha una funzione di richiesta: è nel periodo della speranza che il bambino manifesta le tendenze antisociali.
Il suo comportamento rappresenta certamente un disturbo per la scuola, la famiglia, il comune: il compagno che viene derubato della merenda in classe o della bicicletta fuori dalla scuola si sente fortemente arrabbiato, così come l’insegnate che viene deriso insultato e non rispettato davanti agli alunni.
Ma i professionisti non direttamente coinvolti possono scorgere la speranza che sottende a questi atteggiamenti aggressivi, nonostante ci si trovi a lavorare nell’imprevedibilità delle azioni. Il bambino sta cercando quello di cui si sente deprivato e quello di cui ha bisogno per vivere, cerca una madre "buona", con un senso potente di frustrazione e un crescente bisogno di trovare, allo stesso tempo, l'autorità paterna che possa porre un limite alle conseguenze reali del suo comportamento impulsivo.
Di fatto, mantenere una capacità interpretativa, tener saldo un vertice analitico quando ci si trova a contatto con queste problematiche, in particolare all’interno dell’ambito istituzionale, è molto difficile per l’operatore, anche per il fatto che i bambini con tendenze antisociali guai e danni li compiono realmente.
W., ragazzino che frequenta la seconda media, è stato oggetto di numerose denunce da parte di genitori che volevano che lo si allontanasse da scuola perché pericoloso per i compagni. In verità le sue tendenze piromani spaventavano sia alunni che insegnanti e le preoccupazioni da parte degli adulti apparivano giustificate.
Il bambino senza freni "mette dentro" all'adulto che si occupa di lui una rabbia non indifferente, sentimento che l’istituzione, nella sua rigidità burocratica, sente come destrutturante e destabilizzante. E’ importante che l’operatore abbia gli strumenti per distinguere ciò che appartiene al minore e al contesto in cui esso vive da ciò che invece è in se stesso.
Nella nostra esperienza, la comprensione che l’atto antisociale esprima una speranza è un punto di partenza fondamentale per lavorare con i minori difficili e con la rete socioculturale che spesso tende a respingerli.
Winnicott evidenzia anche la presenza di altri due elementi: il rubare e la distruttività. In Through Pediatrics to Psycho-Analysis:Collected Papers, Winnicott sostiene che con il rubare il bambino “cerca qualche cosa da qualche parte e, se non lo trova, cerca altrove, quando ha speranza”, mentre con l’atteggiamento di distruttività, invece, egli “cerca quella condizione di stabilità ambientale che potrà sopportare con la tensione prodotta dal comportamento impulsivo. Questa rappresenta una ricerca di rifornimento ambientale perduto.”
Per queste ragioni credo che il lavoro di presa in carico di situazioni così complesse e di reti sociali piene di difese non sia un compito semplice e richieda una preparazione approfondita, corredata da un percorso di conoscenza di sé e di supervisione sui casi.
Conclusioni
Esperienze di lavoro con queste forme di disagio sociale sono in fase di sperimentazione e di consolidamento in tutta Europa. Gli spunti qui solo accennati rappresentano occasioni di riflessione sulle azioni a cui dare significato e di punti di partenza per l’individuazione di sempre migliori strumenti di lavoro.
Vorrei anche che questo lavoro possa essere un contributo leggero all’analisi e approfondimento del ruolo del counsellor, una figura che si sta integrando con le professionalità dell’educatore, del pedagogista e dello psicologo ma che è in costruzione ed alla ricerca di significati e contesti professionali.
Autore: Paola Campanaro, laureata in Scienze della Formazione a Padova; specializzata in counselling psicoanalitico per l'infanzia e l'adolescenza. Ha lavorato come direttrice di una scuola per stranieri e come insegnante di italiano nelle scuole elementari statali. Attualmente coordina e progetta interventi pedagogico-educativi per minori, giovani, famiglie e per soggetti svantaggiati all'interno di Cosmo s.c.s. di Vicenza. E' socia e professionista dello studio dott. Bellin Associati che si occupa di cura e presa in carico di minori e delle loro famiglie di Creazzo, Vicenza.
copyright © Educare.it - Anno IX, Numero 7, Giugno 2009