- Categoria: Rapporto con il cibo
- Scritto da Vincenzo Amendolagine
La mia bimba mangia solo poche cose
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Scrivo per avere delle delucidazioni riguardo l'alimentazione di mia figlia. Parto con il dire che la bambina ha 5 anni e il suo peso è nella norma. Noi siamo genitori che purtroppo, ci siamo poco causa lavoro. Io sto con lei solo la sera e la mamma sono due anni che lavora a 300 km da casa. La bimba è stata abituata a stare sempre con la nonna.
Fino a 3 anni circa mangiava sempre tutto, poi una volta passati dal piatto unico al cibo un po’ più di sostanza, è crollato tutto. Adesso il suo pasto giornaliero è: mattino un biberon di latte con biscottini e miele. Spuntino delle 10 con cracker o focaccia.
A pranzo solo pasta, rigorosamente con sugo, cacio e pepe, broccoli, ma è molto difficile. Merendina pomeridiana con biberon di latte oppure in estate un gelato, pastine ma solo quelle scelte da lei, una fetta di pane con nutella o addirittura da sola, raramente yogurt. Per cena solo (e dico solo) riso in bianco, polenta o toast con solo la sottiletta, a volte i sofficini.
Per quanto riguarda la frutta mangia a volte la prugna nei vasettini plasmon, raramente pezzettini di mela e banana. Verdura e carne neanche l'ombra. Infatti la nostra pediatra ci ha consigliato di dare ogni tanto delle gocce di ferro, in quanto non ne assume in alcun modo. Ora noi, ma soprattutto la nonna, siamo disperati in quanto ci sembra strano che non voglia sentire niente di niente. Sono due giorni che, consigliati dalla pediatra, abbiamo fatto a tavola cose nuove da mangiare tipo polpettine e purè, mortadella, ravioli. Niente, lei sta senza mangiare e si rifiuta completamente. La pediatra dice che bisogna continuare così, dicendo che per cena quello c'è. Se ti va bene altrimenti stai senza mangiare.
Praticamente sono due giorni che prende il latte la mattina e la sera prima di dormire. Stop.
Vorrei consigli su come poterci comportare, se quello che stiamo facendo sia giusto, o se come penso io, bisognerebbe continuare a farle mangiare quello che vuole, senza farglielo pesare più di tanto. Magari proponendole ogni tanto cibi nuovi, anche se penso sarà difficile che li assaggi. Magari sarà un metodo per farsi valere nei riguardi della nonna che, se mangia, è la persona più felice dell'universo altrimenti si preoccupa da morire.
Oppure magari la mancanza della mamma che la vede una volta al mese.. non so... Secondo me, lasciarla libera di mangiare quello che vuole la renderebbe più tranquilla e serena. Voi dite che se continuiamo a farle mangiare tutte le sere riso in bianco lei prima o poi si sbloccherà? Oppure oramai è troppo tardi? Datemi più consigli possibile.
Grazie mille.
Gentile papà,
leggo nella sua lettera una notevole preoccupazione per l’alimentazione di sua figlia, acuita dal fatto che sia lei che sua moglie, per una serie di circostanze, non potete essere presenti, come vorreste, nella vita della piccola, anche se ella è comunque seguita validamente dalla nonna.
Per entrare nel merito della questione specifica, è bene fare una premessa relativa a tre tematiche, correlate fra loro, ovvero l’alimentazione dei bambini, la loro educazione alimentare e i riverberi che queste questioni hanno sulla psicologia infantile.
Che una corretta e sana alimentazione da acquisire già nell’infanzia sia il preludio di un benessere duraturo, è un fatto indubbio. Dal secondo anno di vita il bambino è in grado di masticare i vari tipi di alimenti e questo consente loro di avere un regime dietetico simile a quello dell’adulto. Si arriva così, gradualmente, ad un’alimentazione sempre più completa, aggiungendo via via, nel corso dello sviluppo, nuovi nutrimenti. Le esigenze di crescita richiedono l’assunzione di cibi che abbiano un elevato apporto energetico e che siano ricchi di tutti i principi nutritivi. Talvolta un’alimentazione non corretta può portare ad un deficit di alcuni nutrienti essenziali che si ripercuote negativamente sullo sviluppo, determinando un mancato accrescimento corporeo o delle forme di astenia psicofisica. A questo riguardo è fondamentale il ruolo dei genitori che devono abituare i propri figli a mangiare correttamente.
Dal punto di vista psicologico l’alimentarsi è un attoche origina dalle relazioni e dalle interazioni, contrassegnate da valenze emotive ed affettive, che si instaurano fra adulti e bambini, nella maggior parte dei casi fra genitori e figli. Per i grandi l’alimentazione del piccolo acquista un’importanza cruciale, in quanto essa trascende il valore nutrizionale in sé, connotandosi, invece, come sinonimo di cura globale del nuovo nato. In altre parole, l’alimentazione del figlio è spesso legata, nella percezione genitoriale, alla riuscita del proprio ruolo: più il bambino si alimenta correttamente e più ci si sente appagati dall’identità genitoriale.
Questo determina un meccanismo che mobilizza un variegato insieme di emozioni, ossia emozioni positive laddove il piccolo si alimenta correttamente ed emozioni negative nel caso contrario. Fra le emozioni negative un posto di rilievo lo occupa l’ansia. Di fronte al proprio figlio che non mangia adeguatamente, i genitori vivono uno stato di ansia, che ipoteca l’intera atmosfera familiare. In questa maniera la preoccupazione per l’aspetto alimentare diviene il baricentro attorno al quale ruotano tutti gli altri interessi familiari. Un gesto spontaneo e naturale come il mangiare diviene un qualcosa che si carica di altri significati che poco hanno a che vedere con il mangiare in sé. Paradossalmente il mangiare del piccolo viene vissuto come qualcosa che ha maggiore rilevanza dell’infante stesso. Nel bambino questo implementa la valenza simbolica dell’alimentarsi.
Egli percepisce che la sua nutrizione determina il benessere dei propri genitori ed essa può essere utilizzata con un fine ricattatorio. Il piccolo scopre, così, che la sua alimentazione può far girare in senso positivo o negativo il clima familiare.
Una delle caratteristiche della prima infanzia è rappresentata dalle sfide e dai ricatti che i piccoli fanno ai grandi. Questi atteggiamenti se da un lato rappresentano un modo per affermare il proprio io, dall’altro divengono il terreno favorevole per i giochi di potere e di ruolo fra adulti e minori. È proprio sul mangiare che spesso si ipertrofizzano e si consolidano questi giochi di potere. Il bambino scopre quanto potere ha un suo No detto davanti ad una pietanza messa a tavola. Ciò determina uno stato di tensione nel genitore che, di fronte alla negazione del proprio figlio piccolo, non sa come comportarsi, ovvero se insistere, se punirlo o se soprassedere. Sovente gli adulti ignorano che quel No è un modo per affermare la propria personalità e presenza. È un modo per dire “ci sono anch’io, ascoltatemi; voglio entrare in dialogo con voi e dimostrare - prima a me e poi a voi - che anch’io ho un opinione che può addirittura essere diversa dalla vostra e che è molto importante!” (Montuschi, 1999).
Il genitore può vivere il no del proprio figlio come una falla nella sua autorità e questo alimenta la paura di non essere più in grado di controllare il bambino e, quindi, determina una conseguente deriva nell’autoritarismo, nella violenza e nell’aggressività. È spesso a tavola che si celebrano questi giochi di potere. Il piccolo si accorge che il suo mangiare assume un’importanza notevole per i suoi genitori. Tale percezione gli deriva dal fatto che il suo alimentarsi diventa merce di scambio per eventuali premi o punizioni. In altre parole, è proprio nel suo rapporto con il cibo che il bambino scopre di poter affermare la sua presenza, la sua importanza, che, probabilmente, non è stata tenuta in debito conto dagli adulti. Spesso i No del piccolo di fronte ai cibi vanno avanti ad oltranza in quanto egli non è cosciente delle gravi conseguenze che tali atteggiamenti possono avere.
Laddove l’adulto che si occupa di lui è fondamentalmente sicuro, fa cadere queste sfide, senza affibbiare significati che non hanno, prendendo con umorismo questi giochi di potere del piccolo. In altri termini, come afferma Montuschi "L’adulto che comprende il significato di questi gesti ha a sua disposizione altri argomenti convincenti per il bambino: «allora se non vuoi mangiare, giochiamo!». Una frase del genere disarma lo sfidante e il bambino sente di aver perso improvvisamente il suo avversario. Che senso ha combattere se non ci sono più nemici? Il terreno si libera rapidamente di ostacoli ed i rapporti interpersonali cambiano".
L’adulto deve far divenire questi No del bambino un momento di un’analisi più globale, ovvero come un’occasione per capire se all’interno della famiglia il minore è valorizzato come persona, portatrice di bisogni e desideri specifici.
D’altra parte in queste sfide che il piccolo compie è bene riconoscergli qualche vittoria, con la finalità di rassicurarlo. Ma la cosa fondamentale da fare è quella di dare il giusto significato ai suoi No, cioè come manifestazioni per affermare la sua persona e non come atteggiamenti contro gli adulti.
Nella predilezione che i bambini hanno verso determinati cibi subentra anche un aspetto emotivo. La propensione, per esempio, per le cose dolci che i piccoli manifestano rappresenta il ricordo del sapore dolce del latte materno. Quel latte che richiama la sicurezza, la tenerezza, il senso di tranquillità che il seno materno può dare e questa associazione si ritrova, poi, a tutte le età. Anche da adulti, quando si attraversano momenti di difficoltà, compare molto marcato il tropismo per i cibi dolci. Man mano che i bambini crescono e l’alimentazione varia, vengono acquisite delle altre preferenze, come quelle per i cibi salati.
L’alimentazione infantile, con le dovute eccezioni, rimane contraddistinta, comunque, da alcune inclinazioni, che portano a privilegiare alcuni alimenti e ad escluderne altri. Frequentemente, dai due anni in poi può comparire la cosiddetta neofobia, ovvero il rifiuto per tutti i cibi nuovi, che non fanno parte della dieta usuale. È un modo da parte del bambino di conservare il suo mondo, che è fatto di abitudini alimentari consolidate.
Riguardo a quello che dice nella sua lettera, i problemi che la bambina manifesta nei confronti dell’alimentazione si possono far risalire a quando la mamma, per ragioni di lavoro, si è dovuta allontanare da casa. Anche il continuare a bere il latte dal biberon la dice lunga in tal senso.
Nel suo caso, più che battaglie o pseudo battaglie sul cibo o sui singoli alimenti, si deve aiutare la bimba ad esprimere il disagio che sta vivendo. Tenendo ben presente che l’essere affezionata ad alcuni alimenti è un modo per conservare il suo mondo, che per una molteplicità di circostanze, negli ultimi tempi ha subito una serie di variazioni non volute dalla piccola.
La prima cosa che lei, la mamma e la nonna dovete fare è quella di vivere con più serenità l’alimentazione della bambina, apportando con il tempo nuove pietanze nella sua alimentazione, con gradualità e dolcezza, senza battaglie cruente e violente che possono soltanto danneggiare, piuttosto che fare del bene.
Inoltre potete utilizzare la fiaba per fare esprimere il disagio eventualmente presente, giocando con lei all’inventare le fiabe. La fiaba consente di sviluppare la creatività, che permette di affrontare meglio le problematiche della vita quotidiana, e soprattutto ha una funzione catartica, in quanto il rappresentare simbolicamente il disagio ha l’effetto di renderlo meno nocivo.
Un ultimo suggerimento è quello di far fare dei disegni liberi. Anche il disegno è uno strumento che i piccoli possono usare per esprimere e per liberarsi dalle emozioni deleterie.
copyright © Educare.it - Anno XV, N. 4, Aprile 2015
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