- Categoria: Monografie
- Scritto da Chiara Lalli
La televisione, madre sostitutiva e desiderata
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A partire dagli anni Cinquanta la televisione si insedia nelle famiglie di tutto il mondo, prima ammantata di stupore e rivoluzione tecnologica, poi sempre più come consuetudine, assuefazione, dipendenza. Fino a rendere quasi impossibile, o almeno priva di senso, un’indagine sulla vita delle persone (forse anche su aspetti molto specifici) senza la considerazione della invadente presenza televisiva.
Presenza che spesso assume molteplici aspetti nella vita dei bambini: gioco, madre sostitutiva, compagnia di altri bambini.
Ma c’è un rischio più grave di quello dell’usurpazione compiuta dalla televisione ai danni di madri distratte e compagni assenti, un rischio cresciuto parallelamente alle immagini vomitate dallo schermo televisivo, alimentato e gonfiato dalla grafica accattivante di pubblicità e caroselli: la scomparsa dell’infanzia. Questa è la conseguenza dell’attacco compiuto dalle immagini all’astrazione del linguaggio. Il mondo simbolico della televisione aggredisce il mondo alfabetizzato, ne mina le basi, e offre come alternativa un mondo primitivo, narcotizzante, che può essere passivamente e silenziosamente osservato.
Postman (Neil Postman, The Disappearance of Childhood, 1982) delinea questa prospettiva catastrofica, spiega le ragioni di un’estinzione quasi compiuta, addita il predatore responsabile della scomparsa dell’infanzia.
L’infanzia nasce intorno al sedicesimo secolo, come prodotto dell’invenzione della stampa: essa è il prodotto di un ambiente in cui le informazioni sono controllate esclusivamente dagli adulti, i quali decidono i tempi e le modalità di trasmissione ai bambini, in base al loro sviluppo psicologico e mentale. L’infanzia ha accesso alla conoscenza gradatamente e progressivamente, scopre i segreti che caratterizzano il mondo degli adulti; i bambini devono acquisire gli strumenti linguistici per divenire adulti, e soprattutto devono imparare a leggere.
Il 1832 segna la data dell’inizio della fine e indica nella persona del prof. Samuel Finley Breese Morse il padre dell’epoca senza bambini, seppure inconsapevole. Il telegrafo stravolge molto più del solo modo di comunicare: avvia il processo che rende incontrollabile l’informazione e ne strappa il controllo alla famiglia e alla scuola, trasformando il tipo di notizie alle quali potevano accedere i bambini, nella quantità e nella qualità, nella modalità e nelle circostanze.
Ma il telegrafo è solo l’inizio di un cammino che in circa cento anni conduce al tubo catodico.
La forma dell’informazione è irrimediabilmente stravolta: da discorsiva a non discorsiva, da propositiva a figurativa, da razionale ad emotiva. Se la parola è una idea, una invenzione della fantasia, non esiste in natura, è inserita in una proposizione che richiede abilità mentali, invece l’immagine mostra una cosa, non un concetto, non presenta una proposizione, è cognitivamente regressiva, secondo l’espressione di Reginald Damerall, si offre alla percezione e non alla comprensione. Una immagine non può essere criticata, negata, non ha regole logiche a cui conformarsi. Può suscitare solo estatica contemplazione, e non un’argomentazione a favore o contraria.
Rudolf Arnheim è spietato: quando, avverte, la comunicazione può essere ottenuta semplicemente indicando con un dito, la bocca diventa muta, la mano cessa di scrivere, e il pensiero si restringe.