- Categoria: Fabulazione e narrazione
- Scritto da Flora Tumminello
La cura nell'approccio narrativo
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L’ideale di comunicazione e informazione non è altro che una declinazione di rapporti tra società e istituzioni [1]. Un’azione che narrativamente, nella letteratura classica, si traduce in un gesto di amore, di apertura e di cura dell’altro. A quell’amore che può tutto, che rende uguali e “ingentilisce”. Simbolo di quell’utopica e remota età dell’oro, governata dalla giustizia, dove la felicità e il benessere non si legavano alla ricchezza o al potere, dove la violenza era bandita, e dove eterna vi sostava la primavera [2]. Ma è un’illusione.
Il nodo non risolto delle contraddizioni sociali è sempre presente. La frattura tra istituzioni e società sta proprio nel perenne rapporto di disuguaglianza, nel loro essere sede sempre e comunque del potere che si autolegittima attraverso gli strumenti “forti” della burocrazia, delle regole, del linguaggio criptico e nello sguardo all’altro continuamente negato. L’antitesi di quello che è definito l’approccio Patient-Centered. E’ da questa frattura sociale che deriva la violenza dell’istituzione, che si coagula nella difesa al fortino amministrativo, simbolo di una vera gerarchia di casta, attraverso cui esprimere la propria resistenza al cambiamento. Dall’altra parte, la società risponde con una progressiva intolleranza al disservizio e all’abuso, facendo sentire sempre più forte il proprio disagio.
Sino a quando questa realtà, che caratterizza i rapporti sociali e interpersonali continuerà, il cittadino-utente non avrà spazi di salute verso cui volgere il suo bisogno di ascolto. Un punto di osservazione per cercare di comprendere e dare senso a questa moltitudine di voci interiori e non, può essere l’approccio narrativo. L’autobiografia non è solo raccontarsi, esprimere un desiderio a sfondo narcisistico, o un tentativo di spiegazione delle scelte compiute nel corso dell’esistenza. Scrivere la propria storia è un modo, uno dei modi possibili, per apprendere su di sé, qualcosa.
L’approccio autobiografico acquista per l’adulto il senso di una riscoperta o reinvenzione del progetto di crescita personale. Si definisce autobiografico ogni metodo volto a cogliere la soggettività, l’unicità, la vitalità dell’adulto e delle traiettorie di apprendimento, di trasformazione, espressione di sé, di attribuzione di senso alle proprie pratiche. Metodo che può esprimersi attraverso la narrazione, spontanea o suscitata, continua o occasionale, fatta per sé o per gli altri, di micro-eventi significativi e ben focalizzati oppure del corso intero della propria vita, composta non solo di fatti ed episodi, ma di riflessioni, valutazioni, giudizi e certamente emozioni e sentimenti [3]. Ma è anche un modo per formare altri adulti alla “loro” comprensione. L’uso della scrittura personale come forma di cura e di contemplazione del proprio vivere. Uno specchio che rimanda modalità del nostro vissuto. E’ un ritrovamento interiore che si avvale di processi cognitivi di carattere retrospettivo e introspettivo che rafforzano il farsi della coscienza [4], delineato chiaramente da Duccio Demetrio quando definisce il pensiero autobiografico:
C’è un momento, nel corso della vita, in cui si sente il bisogno di raccontarsi in modo diverso dal solito […] tale bisogno è ciò che prende il nome di Pensiero Autobiografico.[…] è una compagnia segreta, meditativa, comunicata agli altri attraverso sparsi ricordi […] che ridà senso alla vita stessa. Consente a colui o a colei che quasi si sente invadere da questo pensiero, di sentire che ha vissuto e sta ancora vivendo. […] non è uno stato d’animo episodico, entra a far parte della nostra esperienza umana e intellettuale soltanto quando gli facciamo spazio quotidianamente quando si fa esercizio filosofico applicato a se stessi (chi sono, chi sono stato?) quando diventa un luogo interiore di benessere e cura. [5]