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Una caratteristica comune di molti stati psicopatologici, come le sindromi ansiose, le sindromi depressive, le sindromi psicotiche croniche, le dipendenze patologiche, è l’associazione con un deterioramento delle funzioni cognitive, che ha un’importanza notevole sia sull’insorgere della malattia che sul mantenimento della sintomatologia clinica. A sostenerlo è una ricerca belga (Libera Università di Bruxelles e Università Cattolica di Lovanio). Le funzioni cognitive possono essere intese come procedure che permettono all’individuo di elaborare le informazioni che provengono dal suo contesto di vita, di decodificarle e di ritenerle con la finalità di produrre dei comportamenti sintonici con queste informazioni ambientali. Esse sono sotto il controllo di diverse aree cerebrali.
I livelli di intelligenza dipendono dall'elaborazione di specifiche aree del cervello che comunicano tra loro mediante connessioni cerebrali instabili e quindi flessibili: maggior flessibilità delle connessioni vuol dire maggiore intelligenza.
Il sonno è un’attività fisiologica estremamente importante per l’essere umano. Solitamente ogni persona passa un terzo della sua vita a dormire e il sonno viene considerato un fattore importante per la sopravvivenza. Infatti, esso svolge un ruolo insostituibile per il mantenimento sia della salute fisica che di quella mentale. Perché il sonno possa produrre i suoi vantaggi è necessario che siano rispettati alcuni parametri, relativi alla qualità, alla quantità e al ritmo di esso. Un ruolo importante sulla qualità e quantità del sonno viene svolto dagli eventi stressanti.
Si sa da tempo che alcuni fattori, come una dieta non corretta, le malattie infettive, l’assunzione di droghe, il tabagismo e l’alcolismo durante la gravidanza, rappresentano delle criticità che possono ripercuotersi sullo sviluppo cerebrale embrio - fetale e sulle funzioni cognitive dopo la nascita. Queste condizioni determinano una maggiore probabilità di episodi di ipossia cerebrale nell’embrione e nel feto.
Le espressioni facciali sono state sempre considerate come prodotte dalla contrazione dei muscoli facciali. Alle espressioni facciali è stata data una connotazione interpretativa a seconda del contesto sociale e culturale di appartenenza. Di fronte ad una sollecitazione ambientale che giunge all’individuo, secondo le conoscenze fino ad adesso note, si produce un movimento dei muscoli facciali. Questo movimento diviene un input che viene decodificato a livello cerebrale, dando un’interpretazione ad esso e associandolo cognitivamente ad un’emozione. In altre parole, di fronte ad una situazione di pericolo, il viso dell’individuo mediante una contrazione dei muscoli facciali invia un messaggio al cervello. A tale messaggio viene data, a livello cognitivo – emozionale, una certa valenza interpretativa. Il soggetto vive quella contrazione dei muscoli del proprio viso come un’espressione facciale che corrisponde alla paura. Con il tempo, in base agli apprendimenti, si crea una corrispondenza fra espressioni del viso ed emozioni. In altri termini, alla paura corrisponde una certa espressione facciale, allo stupore un’ulteriore espressione facciale, così come alla gioia etc.
Il linguaggio rappresenta un’abilità specifica degli esseri umani, che ha un ruolo fondamentale nello sviluppo cognitivo e sociale. Infatti, attraverso il linguaggio si apprendono le nuove conoscenze, si formulano i pensieri e, adoperandolo in funzione comunicazionale, si intrattengono i rapporti con l’alterità. Nell’ambito comunicazionale il linguaggio può essere usato in forma orale, scritta o mediante i gesti del linguaggio extraverbale. Alle conoscenze sulle aree cerebrali che presiedono alla comprensione e produzione del linguaggio si è giunti nel corso XIX secolo ad opera di alcuni medici, che hanno studiato le basi neurobiologiche del linguaggio attraverso l’analisi dei pazienti che presentavano disturbi del linguaggio, sia nella produzione linguistica (afasia motoria) che nella comprensione (afasia sensoriale).
L’uomo ha la capacità di valutare i propri pensieri e le proprie azioni. Questa capacità viene chiamata metacognizione ed è, quindi, costituita da pensieri che riflettono e giudicano i pensieri e i comportamenti. La metacognizione costituisce l’archetipo fondante delle credenze su di sé che ogni singola persona sviluppa nel corso del suo ciclo di vita. A tal proposito gli individui hanno molte credenze metacognitive che riguardano la loro personalità, le loro competenze, le abilità e quello che sono capaci di fare praticamente nella quotidianità.
Sono molti i meccanismi biologici che si estrinsecano nel corso dello sviluppo e che presiedono alla relazione che l’individuo articola con la realtà. Da questo punto di vista, l’attività sensorio - motoria che il bambino sperimenta nei primi tempi del suo ciclo di vita diviene fondamentale. La relazione che l’infante ha con la realtà diventa l’archetipo fondante del suo rapporto con l’alterità. Chiaramente queste prime esperienze che il bambino utilizza nella sperimentazione della realtà sovrintendono al suo sviluppo cognitivo, tanto che nelle teorizzazioni piagetiane le esperienze sensorio - motorie costituiscono il primo input per lo sviluppo dell’intelligenza. A questo riguardo Piaget ha indicato questo periodo, nello sviluppo gerarchico della cognitività, come primo stadio o stadio senso - motorio.
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