Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXV, n. 4 - Aprile 2025

Una mamma single

Sono una madre single di 34 anni ed ho una bimba di 22 mesi.
Forse l'annoierò ma credo che il mio problema non possa essere compreso se non racconto tutto il mio percorso fino ad oggi.

A 18 anni ho lasciato la famiglia, con cui non avevo ottimi rapporti, per andare a lavorare in una grande città. Dai 21 anni ai 27 ho convissuto con un uomo con cui sono stata felice soltanto il primo anno, gli altri anni (l'ho capito dopo) erano soltanto frutto della mia testardaggine a far si che lui cambiasse e li ho lasciati trascorrere per non essere costretta a dichiarare (soprattutto alla mia famiglia di origine) che la mia scelta era stata sbagliata.

Poi, improvvisa e inaspettata, ho avuto una storia con una donna di sei anni più grande di me. Lei per amor mio cambia città e viene a vivere con me. Tre anni di dolcezza, pacatezza, di sentirmi avvolta in una nuvola di coccole, tre anni di intesa straordinaria.
Dopo tre anni il mio corpo (e anche il mio cuore) si stanca e reclama un uomo. Andiamo a vivere in due case diverse (però nel medesimo palazzo), non abbiamo più notti d'amore, ma lei è sempre
presente nella mia vita, continua ad "occuparsi" di me nei momenti difficili, spiritualmente e concretamente. Non è più il mio Amore ma diventa per me l'amica più straordinaria che io abbia mai avuto. Lei continua a dirsi innamorata di me ma mi dice che la cosa più importante è che io sia felice e che è comunque contenta del rapporto che adesso abbiamo. Io intanto comincio a vivere due anni "sfrenati", fatti di incontri occasionali e di notti false. Le cene e le chiacchierate, il film e il teatro, le risate e i pianti improvvisi li continuavo a vivere con lei, con la mia amica che ormai consideravo come la mia famiglia, il mio porto sicuro.

Una di quelle notti false però mi ha regalato una stella. Sono rimasta incinta e, pur se io nel mio passato non avevo mai contemplato una gravidanza e anzi l'idea di avere un bambino in pancia mi aveva sempre fatto inorridire, per uno strano e straordinario mistero nello stesso istante in cui appuravo di essere incinta scoprivo che quel figlio era tutto quello che volevo.
Il presunto padre, avvisato, comunicava di non volerne sapere niente. Ma quello ormai era un dettaglio: volevo il mio bambino.
Lei mi è stata molto vicina, durante la gravidanza, quando tutti i presunti amici di allegre serate cominciavano a sparire per perdersi poi definitivamente (molti non conoscono nemmeno mia figlia), ed anche nei primi mesi dopo il parto, quando scoprii che gestire da sola una figlia, una casa e un lavoro impegnativo non è affatto facile. Il suo aiuto è stato completo in termini di tempo dedicato, di energie investite, di soldi regalati.

Tutto sembrava procedere nel migliore dei modi, non rimpiangevo assolutamente la vita e la libertà di un tempo, era si tutto più difficile ma anche straordinariamente più grande e più vero: mia figlia mi aveva davvero reso più bella.
Soltanto qualcosa ogni tanto suonava come una nota "stonata": l'attaccamento della mia amica alla bambina che diventava via via sempre più crescente e che praticamente sottraeva il tempo che la bambina passava con me. Faccio soltanto dei piccoli esempi: se la bimba piangeva nella culla io dovevo fare a gara con lei per giungere in camera, ma lei scattava sempre prima di me e riusciva a precedermi, a prenderla in braccio per cullarla. Quando io ero al lavoro o anche in mia presenza consentiva alla bambina di fare cose che io espressamente vietavo (come salire le scale, passarle lo smalto sulle unghie e altre cose). Al suo maggiore attaccamento alla bambina cominciò a corrispondere via via un maggiore attaccamento della bambina a lei, del resto passava molto più tempo con lei che con me: era lei a tenerla quando io ero al lavoro e successivamente, quando la bimba cominciò ad andare all'asilo lei prese l'abitudine di venire a casa nostra al mattino presto per svegliarla e prepararla, cominciò sempre a farsi trovare a casa nostra al nostro rientro e ad andare via soltanto la sera quando la bimba si addormentava (credo che la bambina non si rendesse nemmeno conto che lei non abitasse con noi: la trovava e la vedeva sempre lì). Aggiungo che la mia amica ci sa fare da favola con i bambini ed ha un modo di giocare che la bambina preferisce di più rispetto al mio per cui regolarmente dopo l'asilo la bambina passava i pomeriggi a giocare con lei sia quando io ero fuori per lavoro sia quando io ero presente: la bambina manifestava palesemente la sua preferenza a giocare con lei ed io sceglievo di non contrariarla.

Mi sentivo però esclusa, mi sentivo per mia figlia soltanto colei che la rimproverava, che le dava da mangiare (impresa alquanto difficile con mia figlia), che la faceva piangere per darle le medicine. Tutto ciò mi appariva, l'ho detto, stonato e più di una volta ho avuto l'istinto di ribellarmi, di rivendicare il mio diritto di stare un po' da sola con mia figlia, di essere io a svegliarla la mattina, di passare un pomeriggio con lei, di essere io a farle il bagnetto... ma poi mettevo a tacere quelle mie sensazioni: mi sentivo un ingrata, una piccola mamma gelosa che voleva vietare alla figlia una ricchezza affettiva, la presenza di una zia che le volesse tanto bene.
Mi dicevo: "lei mi ha così tanto aiutata, anche economicamente, lei è così sola e da sette anni si dedica completamente a me, lei non ha amici, lei forse non sarà mai madre... E poi vuole un bene infinito alla bambina, la bambina potrà solo guadagnarci dall'avere vicino una persona che l'ama così tanto. Non devo essere la donnetta egoista e gelosa della figlia dimenticando tutto il bene che la mia amica mi ha fatto, non voglio che pensi che l'ho utilizzata solo fin quando mi ha fatto comodo".

Qualche mese fa però la bambina ha cominciato a confondersi quando la chiamava, spesso l'ha chiamata mamma e ha cominciato a correre da lei quando si faceva male. Mia figlia (che a 22 mesi ancora allatto) continuava a volere la tetta la sera ma, dopo la poppata, voleva addormentarsi tra le braccia della mia amica (che, ripeto, lasciava casa nostra solo quando la bimba dormiva)..
Nei rari momenti poi in cui eravamo sole la bambina ha cominciato a mostrare insofferenza a me, ai giochi che le proponevo. Mi chiedeva cose che io, per ragioni di sicurezza o anche solo educative, espressamente vietavo e che (mi accertavo poi) la mia amica le lasciava fare. Ad ogni mio rifiuto cominciava a fare i capricci, a piangere e a chiamare la mia amica... Cominciava a chiamare lei anche quando si svegliava la notte: diceva "tetta" e poi, invece di dire "mamma" (come fino ad allora aveva fatto) diceva il nome della mia amica...
Nello stesso periodo poi giungevano delle battute da parte di altre amiche e persino della madre della mia amica, battute tipo "questa bimba ha due mamme", quando costatavano l'attaccamento della bambina alla mia amica ed il suo modo di gestirla anche in mia presenza (decidere di farle il bagno, vestirla, portarla fuori, il tutto senza comunicarmelo o chiedermi un parere).
Io mi sentivo così ferita, inutile, inadeguata..

Ho cominciato a regolare la sveglia un'ora prima per alzarmi prima che la mia amica passasse da casa mia ed avere così il tempo di svegliare mia figlia e di prepararla. Ho cominciato ad inventare inesistenti uscite con compagne di corso preparto per riuscire ad avere pomeriggi da soli con mia figlia.
Poi mi sono resa conto di quanto tutto questo fosse surreale e assurdo e mi è inoltre balenata l'idea che forse l'allattamento così prolungato al seno era stata una mia inconscia scelta: rappresentava in fondo la carnalità che nonostante tutto legava mia figlia a me: necessariamente doveva stare fra le mie braccia per prendere il latte. Tutto questo mi ha fatto paura.

Da più di un mese ho comunicato alla mia amica di volere stare più tempo con mia figlia, le ho detto che preferisco essere io ad andare a prenderla al nido, che preferisco che la bimba stia al nido anche nei pomeriggi in cui io lavoro, che non è necessario che lei venga a svegliarci la mattina né che si faccia trovare a casa nostra quando rientriamo o che ceni da noi tutte le sere. Ho cominciato a fare i salti mortali per sbrigare tutto da sola ed ho realizzato che finora il suo aiuto, concreto e decisamente consistente, era stato una egoistica e "comoda" occasione per me per "adagiarmi". Non ho chiuso i rapporti con lei e non ne ho nemmeno l'intenzione: vado con la bambina saltuariamente (un paio di volte alla settimana) a casa sua per un'ora o due per farle giocare insieme: mia figlia si diverte moltissimo a giocare con la mia amica ed io ho sinceramente il desiderio che questa zia (a cui mia figlia e a cui anch'io vogliamo un mondo di bene) sia in qualche modo presente nella vita di mia figlia.

Il mio rapporto con mia figlia è oggi decisamente migliorato: non è più insofferente a me come mostrava prima anzi è molto contenta di stare con me, abbiamo inventato dei giochi tutti nostri, mi sembra di comprenderla di più e sono certa lei stia meglio e più serena con me.
Nei pomeriggi in cui andiamo a trovare la mia amica, anche se giocano insieme, la bambina cerca di coinvolgermi, mi mostra le cose che stanno facendo e quando io mi avvicino per giocare insieme a loro la bimba è contenta e non mi dice più "vai via" come faceva prima. Quando poi, al momento di congedarci da casa della mia amica, dico alla bambina che dobbiamo andare a casa nostra per mettere in atto il nostro rituale prima della ninna nanna (mettere su la musica, cullare le bambole, raccontare le favole) saluta la mia amica senza tragedie, le dice che la vedrà l'indomani e mi segue tutta contenta perché le bambole aspettano lei e la mamma.

Alla luce degli ultimi fatti credo di avere avuto ragione quando ho pensato che la situazione di prima, quella della mia amica sempre presente in casa, stava facendo credere a mia figlia che la nostra famiglia fosse composta da tre persone, lei piccola e due donne adulte, delle quali io ero quella severa, che la faceva piangere perché poneva le regole, che insisteva a darle da mangiare o che talvolta le dava le medicine, mentre la mia amica era il genitore "buono" che fa divertire e che accontenta in tutto. Inoltre il fatto di sapere che la mia amica è probabilmente ancora innamorata di me mi ha fatto respirare il tutto come.. ambiguo.. ed io non voglio offrire ambiguità a mia figlia.

Credo di avere avuto ragione... ma allora perché a volte mi sento così "cattiva", "piccola", e soprattutto egoista sia nei confronti di mia figlia che nei confronti della mia amica? E se fosse stata solo gelosia ed ingratitudine la mia? E se avessi privato mia figlia di qualcosa?
Grazie per l'attenzione.
Davvero grazie.

 

Carissima mamma,
mi permetto di essere affettuosa perché con la sua lettera, ricca di particolari e di connotazioni emotive, mi ha reso partecipe di questo suo momento di vita.
D'altra parte, a me non resta molto da dire, perché lei conduce da sola un'analisi molto chiara, lucida ed onesta di tutti gli eventi che l'hanno coinvolta e delle sue scelte.
Mi limiterò quindi, per il semplice piacere di risponderle, a chiarire alcuni punti che mi sembrano interessanti.

Comincerò dalla fine, cioè da quando lei mi chiede perché si sente cattiva, piccola e soprattutto egoista: quando ho letto questa frase, la mia reazione spontanea, esclusivamente di persona e donna, è stata quella di sogghignare e di pensare:"BENVENUTA NEL MONDO DELLE MAMME E DEI GENITORI!!", questo mondo che spesso si tinge del sospetto dell'ingratitudine, prima da parte nostra, e poi da parte dei figli (vedrà quando suo figlia sarà una bella adolescente e non vorrà più farle compagnia!..).

E' assolutamente naturale sentirsi così ma, nello stesso tempo, si ha assolutamente torto: adesso perché lei, cara mamma, ha i suoi spazi di persona (come ce l'ha anche la sua bimbetta, beninteso) e poi perché quando sarà un po' più grande, sua figlia avrà ragione a rivendicare i SUOI di spazi.

Lei ha avuto ed ha, riconosciamolo, una storia particolare e nella sua storia si è ritrovata a sentire il bisogno, come tutte le mamme che si rispettino, di condividere la cura del suo cucciolo con qualcuno di intimamente vicino. Ecco, se le può facilitare le cose, immagini che la sua amica nella sua storia di genitorialità giochi la parte del compagno, dell'altro genitore. Lasci perdere per il momento il fatto che fra voi ci sia o no amore, e pensi solo che per natura siamo tutti portati a crescere un figlio in due (questo, altrettanto naturalmente, non significa che si riesca ad ottenere ottimi risultati anche da single!).
D'altra parte, lei lo dice, la sua amica è veramente una persona in gamba, affidabile, fedele, insomma un potenziale buon genitore.

L'unica nota che ha stonato, L'UNICA, me lo lasci dire, nella sua storia è che questo altro genitore da lei deputato (per affetto, per necessità o altro, lei ha indagato approfonditamente in se stessa) ha preso un atteggiamento esclusivo e possessivo nei confronti della piccolina, contraddicendo addirittura lo stile educativo da lei intrapreso. E no, questo non si fa! Non si deve fare in nessuna delle migliori famiglie, per nessun motivo: è vero ed è normale che i figli si attaccano con intensità diversa ai genitori e alle altre persone, ma affiancarsi dei compagni in Educazione che buttano giù tutto quello che stiamo facendo con i nostri figli, è una cosa deleteria.
E non per lei o per altri, sia chiaro, ma per il piccolo che sta crescendo e che comincia a chiedersi chi diavolo avrà mai ragione.

Per questo io mi sento di darle tutto il mio appoggio nella scelta che ha fatto di riprendersi sua figlia e la mia ammirazione per aver riconosciuto la sua momentanea debolezza. La prova inconfutabile che ha fatto bene è che la sua bambina ha reagito positivamente e la contraccambia in affetto!
Ora però non stia a piangerci su oltre, e vada a chiamare la sua amica: non bisogna mai negare un affetto, né a se stessi né ai propri figli. Perché solo nell'affetto, negli scambi e nelle relazioni c'è crescita e ci sono risorse.

Quello che deve discutere con la sua amica è una modalità di rapporto più equilibrato con la piccola, niente accaparramenti, perché la bambina, poi sostanzialmente, non è né sua né della sua amica, ma solo di se stessa, e lei, con la sua storia, capisce benissimo cosa significa avere la propria vita e la propria strada.

Si ricordi, se vorrà, queste mie parole, che non hanno la pretesa di essere sagge ma solo dettate dal cuore e dall' esperienza: mi creda, non ci sono confini, non esistono né condizioni, né sesso, né età per essere dei buoni genitori. Piuttosto ci vuole buon senso, tanta disponibilità, soprattutto a riconoscere i propri errori, e modificabilità, se occorre.
I nostri figli stanno bene quando il nostro cuore (e anche la nostra mente, guarda un po') è aperto.

Da qualche parte ho letto che LA VITA E' L'ARTE DELL'INCONTRO...
Le faccio tanti auguri, la saluto caramente e davvero grazie a lei per averci scritto.

 


copyright © Educare.it - Anno III, Numero 5, aprile 2003