Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXV, n. 5 - Maggio 2025

Temperamento ed adattabilità

Inizio col dire che non voglio cambiare radicalmente il carattere del mio bimbo di 3 anni, ma trovo in lui dei comportamenti troppo "volitivi".

Ho iniziato a lavorare ai suoi 3 mesi e mia suocera ha accudito per gran parte della giornata (fino alle 16) al bimbo ed in effetti lo ha molto viziato, diventando delle volte eccessiva nella sua voglia di non farlo mai piangere. Verso 1 anno e mezzo sono riuscita a smettere il lavoro per seguire Riccardo.
Sono affettuosa, grido quando ce ne è veramente bisogno e non educo il mio bimbo con gli schiaffi (pochissime volte qualche sculacciata).

Con tutto questo Riccardo è difficile da gestire: se non vuole uscire di casa non c'è nulla che lo convinca (fare la spesa o uscire per improvvisa necessità è un dilemma), alla scuola materna è bravo salvo i grandi pianti del distacco mattutino, ma spicca per suo carattere "duro" e la ritrosia nei confronti del papà che ci fa veramente soffrire: lo tratta male, non accetta abbracci e carezze, sembra che gli dia fastidio la sua vicinanza.
Come possiamo fare?

 

Brava mamma!

In effetti, lei non deve cambiare il carattere del suo bambino, non deve pensarci nemmeno, perché ciò è praticamente impossibile. In poche parole, il succo della faccenda è che deve proprio... tenerselo così com'è, anche perché, pur se adesso le sembra impossibile e lontano, un suo eventuale caratteraccio alla fin fine darà essenzialmente problemi solo a lui.

Casomai, lei potrebbe "condizionarlo", influenzarlo, ma comunque la sua impronta rimarrebbe su quello che è già il carattere del bambino, la sua indole, la sua personalità, il suo temperamento. Insomma, si possono influenzare gli altri, ma ciascuno si farebbe inevitabilmente condizionare secondo il suo modo di essere. Si potrebbe fare una lontana ipotesi nel caso di caratteri cosiddetti gregari, accondiscendenti, forgiabili; ma, a parte il fatto che sfoceremmo nel limite della patologia, mi sembra decisamente che questo non sia il caso del suo piccolo. Inoltre ho ben capito che lei, più che giustamente, rispettosamente e amorevolmente, non vuole che cambi. Come tutte noi mamme, anche lei è "innamorata" di suo figlio!

Piuttosto, possiamo provare a trovare un modo per aiutare questo piccolo "testone" ad addolcirsi un po'.
Innanzitutto, abbandoniamo le etichette, tipo "volitivo", "viziato", "duro": parliamo in termini più generali ma assai fondamentali. Esprimiamoci in termini di ADATTABILITA', di facilità o non facilità del carattere di una persona, e delle richieste che, anche in base ad esso, questa ci pone.

Sono doverose alcune distinzioni: come detto prima, il carattere, il temperamento ce la dona madre Natura; in seguito, in relazione alle richieste e alle offerte dell'ambiente circostante, dei modelli che in esso si trovano, essi si adattano. E' così che ognuno mostra o meno la propria personalità, individua e sfoggia il proprio stile: questi sono determinati dall'ambiente. Tutti noi possiamo comportarci diversamente a seconda dell'ambiente in cui ci troviamo (pensi ad una cena fra amici e invece ad una con tutte persone sconosciute, oppure di lavoro: probabilmente queste 3 situazioni darebbero luogo a ben tre comportamenti diversi!), ma sostanzialmente, il temperamento non cambia; piuttosto cambia la sua espressione pubblica, data dallo stile di comportamento e dalla personalità.
Se siamo irascibili, l'ambiente ci avrà insegnato a contenere o meno i nostri impulsi: questo ce lo porteremo dietro per tutta la vita, pur essendo sempre delle persone che tendono ad arrabbiarsi facilmente.

Come ha detto il grande Piaget, nelle parole di Aceti e altri, è l'intelligenza ad adattare in modo elevato l'organismo all'ambiente, e la personalità sarebbe essenzialmente caratterizzata da una creazione continua di parti di se' sempre più complesse, che dovrebbero tendere verso un equilibrio progressivo con l'ambiente, cioè all'adattamento.

E' qui che entrate in gioco voi: il vostro bambino, che sta costruendo delle novelle parti di se', e lei, il papà, la scuola materna, la nonna coccolona, ovvero, l'ambito relazionale del suo piccolo.
Di lui possiamo dire con certezza che in questo momento mostra una scarsa adattabilità: non vuole che si cambino i programmi che ha in testa, non vorrebbe permettere alla mamma di lasciarlo a scuola, perché tutto ciò sembra apparirgli come un terribile affronto. Provi a pensare che, se fosse grande, potrebbe dirle una cosa di questo genere: "Come puoi farmi questo? Come osi? A me! A me che sono tuo figlio, proprio tu che mi hai amato, e la nonna mi ha concesso tutto da subito e io ci ho creduto, tu che mi hai coccolato e hai anche lasciato il lavoro per me? Tu non sai chi sono io!! ".

Spero di averla fatta sorridere, perché avere a che fare con un bimbo ribelle non è facile e fra l'altro posso assicurarle che, se fa così adesso, vedrà a 4 anni, in piena nuova crisi di opposizione!
Quando faccio attività di conferenze, mi diverto sempre a chiedere ai genitori presenti qual è la prima parola che i bambini imparano a dire. C'è "mamma", il primo grande amore, c'è "pappa" ed il cibo è fondamentale per vivere; poi c'è sicuramente NO! Chissà perché !?

Il bambino opponendosi e rifiutandosi indaga sui propri confini e sugli altrui poteri, sui margini di azione dei suoi cari, quelli che noi sentiamo messi a dura prova dallo scemare della pazienza. Eppure a questa richiesta, perché il no è spesso, oltre ad una manifestazione della propria identità (importantissima!), la richiesta di una conferma, se quel margine, quel confine esistono davvero e sempre, da cui l'importanza assoluta della coerenza (mai negare e poi cedere, ma anche il contrario), bisogna opporre un altro no.
Il piccolo non vuole uscire ma è necessario farlo? Certamente lei non può fermare il mondo perché lui vuole scendere! Perciò si spieghi amorevolmente e con fermezza e... porti pazienza! A scuola piange? Lo lasci serenamente perché è in posto adatto a lui, dove la presenza degli altri lo aiuteranno a ridimensionarsi (e poi ha visto che a scuola dicono che è bravo?).

Due cose: sicuramente la nonna avrà agito in buona fede ma, per quanto abbia smesso presto di occuparsene, il bambino può aver costruito su questo rapporto di assecondamento il suo modo di stare al mondo. Poi, non dimentichi che suo figlio SA, a suo modo, che lei ha lasciato le sue occupazioni per seguirlo, e questa è una cosa, per quanto positiva o necessaria, che ha continuato ad "accendergli i riflettori" addosso.

Riguardo alla faccenda del rapporto col padre, la cosa è di più difficile interpretazione: forse il papà è più severo, forse con lui il bambino non può permettersi troppo? Non so, sono solo ipotesi.
Comunque non mi preoccuperei: innanzitutto non forzerei assolutamente il bambino ad avere una "relazione" stretta col padre; piuttosto io li lascerei tranquilli a stare in reciproca compagnia, andare al parco, giocare al pallone, girare in machina chiacchierando e canticchiando, fare il bagno insieme. Il piccolo sentirà la disponibilità del padre e lo ricambierà. E anche qui ci vorrà pazienza.

Le consiglio delle letture ormai mitiche: Se mi vuoi bene dimmi di no della Ukmar, I no che aiutano a crescere della Phillips e, infine, Spuntarla con i figli di Warschaw e Secenda. Si tratta di un libro divertente, che parla dei diversi stili di genitori e figli e che potrà accompagnarvi nella intensa avventura di crescere, insieme a vostro figlio.

 


copyright © Educare.it - Anno I, Numero 12, Novembre 2001