Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXV, n. 5 - Maggio 2025

Troppo permaloso

Ho bisogno di ritrovare la bussola, perché non so dove sto andando. Siamo io e mio figlio, Fabio, di 4 anni. Lui è stato sempre molto permaloso, nel senso che si arrabbia per ogni minima cosa che lui considera uno sgarbo. Il problema è che si chiude a riccio, impossibile fargli esprimere il disagio o la rabbia, dice che non vuole parlare, non vuole fare pace, non vuole niente. Adesso ha imparato a
dire che lui è fatto così.

Nei conflitti con gli altri bambini si isola, è sempre la vittima degli scherzi di altri, che spesso si coalizzano, per reazione. Sembra quasi che provino un gusto speciale nel metterlo nell'angolo. O forse sono io che la vedo così, perché mi dispiace osservare quello che mi pare un gioco crudele. Quando succede lui non prova nemmeno a difendersi, esplode in un pianto disperato. Io esito a consolarlo, perché vorrei che si facesse valere da solo.

Mi rendo conto che ci metto molto del mio, delle mie paure, delle mie proiezioni. Ricordo quando ero piccola la sofferenza di sentirmi esclusa, anch'io mettevo il muso e minacciavo che me ne sarei andata dalla festa, ma ovviamente nessuno mi inseguiva. Però la differenza era che io avevo una madre piovra, soffocante, che non mi lasciava vivere a due passi da lei. E un padre che c'era sì, ma non si faceva davvero sentire. Né con gli abbracci né con le parole.

Ora: io ascolto mio figlio, credo di aver cercato con lui un dialogo da sempre. Ma forse non l'ho convinto? Oggi l'ennesima crisi. Mentre due compagni di scuola se ne andavano abbracciati, lui è rimasto indietro, offeso, non c'era modo di farlo ragionare. Dopo mi ha detto che nessuno gli voleva bene, che solo io gliene volevo e che presto non gliene avrei più voluto. Ha detto che era senza cuore e che non voleva più crescere, non voleva più mangiare ma diventare un sasso piccolissimo. Senza cuore.

Mi sono spaventata. Per la prima volta mi sono sentita disperata, inadeguata, terribilmente in colpa. Non ho potuto evitare di mettermi a piangere, per la strada. Forse sente la mancanza del padre che non ha mai conosciuto? O forse sono io che non sono riuscita a dargli la sicurezza affettiva di cui ha bisogno? Ho paura e non so cosa fare. Come trovare la chiave del suo cuore? Come aiutarlo ad avere fiducia?

 

Gentilissima Signora,

Suo figlio ha detto che "vorrebbe diventare un sasso piccolissimo, senza cuore".
Anche "un sasso piccolissimo" si sente a suo agio ed accolto, quando può posare nella culla di una mano, in questo caso nella Sua mano di madre. Lo dica a Suo figlio, qualora dovesse ripetere che "vorrebbe diventare un sasso piccolissimo, senza cuore", espressione che forse ha sentito alla scuola dell'infanzia, magari in qualche storiella raccontata ed elaborata in quella sede.

In sintesi: rassicuri Suo figlio del fatto che Lei-madre sempre e per l'eternità lo vorrà bene e lo accoglierà e che in Lei avrà sempre un rifugio, sia che si senta da "sasso piccolissimo", sia che si senta altro.

La metafora del "sasso piccolissimo" potrebbe continuare: anche i sassi parlano, e forse, chissà, hanno anche un cuore, non solo un cuore qualsiasi, ma addirittura un cuore fortissimo, che dura- perdura e resiste, come dura e perdura e resiste appunto il sassolino. Stando sempre all'espressione di Suo figlio circa il "sasso piccolissimo, senza cuore", la metafora potrebbe essere ulteriormente utilizzata funzionalmente, ad esempio facendo sentire/percepire a Suo figlio il magico potere che ha, potendo decidere se vestirsi da "sasso piccolissimo" o da altro.

A quattro anni i bambini a volte si svelano dei veri e propri piccoli filosofi e quando condividono i loro pensieri con un genitore, questo può essere sicuramente fonte di felicità, piuttosto che, come scrive contribuire a farLa sentire "spaventata, ... disperata, inadeguata, terribilmente in colpa".

Sono d'accordo con Lei quando dice che vorrebbe "che si facesse valere da solo". Infatti, nelle interazioni tra bambini solitamente si consiglia al genitore di non intromettersi, almeno non durante le interazioni, al fine di non sostituirsi a loro in delle fasi importanti di crescita interrelazionale. Le elaborazioni successive invece sono un'altra cosa, specialmente quando è il bambino stesso che fa il primo passo e si rivolge al genitore, con l'implicita speranza che questo possa confermare od ampliare costruttivamente l'originario punto di vista del bambino e/o il punto di vista sulla'azione passata e/o possibile, passata o futura o ipotizzata che sia.

Quando si parla di ciò che è successo (ad esempio dopo il fatto che altri bambini hanno escluso il "proprio" bambino) spesso la ragione non sta solo da una o dall'altra parte. Importante è cercare di rivivere i vissuti del figlio, mettendosi nei suoi panni e cercando, solo successivamente, di arricchire/integrare il vissuto/il punto di vista del figlio con un complementare punto di vista.

Se il piccolo avesse invece solo il bisogno di rifugiarsi tra le Sue braccia, senza parlare/elaborare verbalmente ciò che è successo, lo accolga in ogni caso.

Dia a Suo figlio la possibilità di conoscere dei "nuovi bambini" e di sperimentare "nuove situazioni di interazione", fuori dal solito gruppo della scuola dell'infanzia, senza però scappare dai bambini che conosce già e che attualmente lo escludono. Anzi, situazioni di incontro duale (magari a casa di qualcuno) si possono rivelare dei veri e propri "laboratori di interazione", svelando parti dell'altro che finora non si conoscevano. Dicevo "possono", non devono. Importante offrire tempi e spazi per sperimentarsi in varie modalità di interazione, che sia tra madre/figlio, figlio/madre, bambino/altri bambini, altri bambini/bambino e indipendentemente se nelle vesti di "sassolino senza cuore, o sassolino con il cuore forte e resistente, o bambino con il potere magico di inventarsi ogni giorno di nuovo, con la creatività insita in ogni processo di crescita.

 


Educare.it - Anno VI, Numero 11, Ottobre 2006