Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXV, n. 1 - Gennaio 2025

Disfasia infantile

Gentile Redazione,
sono la mamma di un bambino di quasi nove anni, al quale, l'anno scorso, è stata diagnosticata dal prof. *** neuropsichiatra, direttore della cattedra di neuropsichiatria infantile dell'università di ***, una disfasia infantile. Perché così tardi, in realtà il bambino è stato visto da altri neuropsichiatri, i quali non mi hanno convinto e tra sedute di logopedia e altre attività (ippoterapia, psicomotricità ed altre terapie riabilitative) finalmente credo avere avuto la giusta diagnosi, in quanto il bambino, oltre a essere stato fino all'età di 5 anni senza vedere in modo chiaro in quanto è un miope e non ci eravamo accorti prima di questa grande mancanza di vista (5 diottrie per occhio) aveva un linguaggio molto povero di parole, per lo più emetteva l'ultima parte della parola, ha cominciato a parlare quasi a 5 anni facendosi comunque capire con linguaggi alternativi. Ora nelle sue frasi mancano gli articoli, le preposizioni, i tempi composti dei verbi e in certe situazioni è come se non ricordasse la parola che gli serve ed usa sinonimi o contrari. E' un bambino ora molto aperto e gioviale, ama la compagnia, il divertimento ma lo intimoriscono tutte le novità:salire su una giostra nuova oppure recarsi in un posto che non conosce. A scuola ha un buonissimo rapporto con i compagni e con le insegnanti le quali sono state la mia salvezza, in quanto a casa il bambino rifiutava di fare i compiti, ora che i progressi ci sono stati, infatti comincia a leggere e a scrivere le parole quasi autonomamente si rende più disponibile. questa situazione mi ha reso molto ansiosa nei suoi confronti e mostro per lui molta preoccupazione e superprotezione (lo so che sbaglio ma cerco in tutti i modi di controllarmi ma difficilmente ci riesco).

Vi scrivo per sapere come mi devo comportare per aiutarlo; il prof *** mi ha detto di non fargli ripetere le parole ma di parlargli molto ma io qualche volta lo sprono a ripetere la piccola frase e i vocaboli in modo corretto. Scusate la mia lettera molto prolissa, l'ho scritta tutta in un fiato e con le lacrime agli occhi e con la paura nel cuore, è un bellissimo bambino è molto sensibile ed affettuoso, per me è sempre piccolo e bisognoso di protezione, forse così rischio non non farlo crescere. Per me questo è stato un grande sfogo anche perché sono sola su questa strada. Scusate ancora e grazie di avermi letto.

 

Gentile signora,
può essere utile chiarire, inizialmente, il termine disfasia.
Disfasia: disordine grave, specifico, e persistente dello sviluppo linguistico.
Sono definiti disturbi specifici i disturbi caratterizzati da una difficoltà linguistica non prevedibile in rapporto al grado di sviluppo cognitivo e affettivo raggiunto dal bambino e che si manifestano in assenza di deficit percettivi e di danni neurologici.

Lo sviluppo presenta un grave ritardo nell’emergenza di tutte le tappe linguistiche: in molti bambini dopo la comparsa delle prime parole (talvolta in epoca regolare) si osserva un lungo intervallo temporale prima che si verifichi un significativo incremento del repertorio lessicale. Il linguaggio rimane a livello di parole singole talora fino a 3 anni e mezzo - 4 anni. Le prime espressioni di due e più parole compaiono in genere intorno a quest’età (o anche più tardivamente) e mantengono caratteristiche telegrafiche: enunciati brevi, sintatticamente rudimentali, scarso uso dei verbi, frequente omissione di elementi grammaticali (articoli, preposizioni, ausiliari) uso ristretto della morfologia flessionale, numero limitato di frasi complesse per lo più di tipo giustapposto. Le medesime difficoltà si evidenziano anche in compiti di ripetizione.

La comprensione grammaticale è deficitaria in quasi tutti i soggetti, mentre la comprensione dialogica è in genere adeguata nelle interazioni spontanee.

I deficit lessicali permangono, talvolta nella forma di anomie (difficoltà di ritrovamento delle parole, difficoltà anche molto gravi che si rendono soprattutto evidenti nel contesto conversazioni o in situazioni in cui è richiesta la selezione di uno specifico item lessicale), con parafasie semantiche (sostituzioni di un termine con un altro a livello semantico appartenente alla stessa categoria semantica, es.: pecora invece di capra, o fonologico, es.: coltello invece di martello), con circonlocuzioni: "E’ una parte di" oppure giri di parole, definizioni d’uso "serve per", o modi di intercalare: "uhm, e poi, mmm", e parole non specifiche: "roba, cosa", con parafasie fonemiche, cioè distorsioni della forma delle parole per difficoltà a fissare in memoria o a recuperare la traccia fonologica corretta..

I deficit linguistici sembrano l’espressione di un disturbo centrale nell’organizzazione del linguaggio a prognosi spesso sfavorevole, sia per la persistenza di residue difficoltà nel linguaggio orale sia per la frequenza di turbe secondarie nell’apprendimento del linguaggio scritto. In tutti i bambini disfasici, infatti, le acquisizioni strumentali risultano deficitarie anche nei casi in cui si osserva un discreto recupero delle capacità verbali.

Possono essere distinti in due sottogruppi: Disturbo di tipo fonologico–morfosintattico e Disturbo di tipo lessicale–sintattico.

Le competenze lessicali risultano particolarmente deficitarie nella disfasia lessicale sintattica: tutti i bambini appartenenti a questo gruppo presentano un pattern di errori peculiare con elevata percentuale di anomie, parafasie semantiche, circonlocuzioni, parafasie fonemiche. Il disordine lessicale è evidente sia nella produzione spontanea sia in compiti strutturati e tende ad accentuarsi in ripetizione come conseguenza non solo di difficoltà di accesso lessicale ma, specie in alcuni bambini, di una compromissione selettiva della memoria di lavoro. Le difficoltà sintattiche presentano gradi diversi di gravità, ma che raramente assumono i caratteri di atipia e persistenza, specifici della disfasia fonologico–sintattica, per la quale è invece maggiormente compromessa l’organizzazione fonologica.

I bambini con DSL possono elaborare con successo tutta una serie di operazioni mentali; sono comunque limitati nel numero di operazioni che possono eseguire contemporaneamente.

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Questa dettagliata descrizione degli aspetti caratteristici della disfasia, termine che è stato sostituito nei paesi anglosassoni da "Specific Language Impairment" (difficoltà specifiche di linguaggio), è necessaria per comprendere un meccanismo che troppo spesso s’innesca negli adulti che vivono intorno al bambino con DSL: un atteggiamento di sottovalutazione e di malinteso sulla natura del problema, forse, come ben precisa G. Stella, per la convinzione dominante che, una volta verificata l’assenza di manifestazioni di natura francamente organica ("non hanno niente"), si può assumere un atteggiamento rassicurante e di attesa che lo sviluppo del bambino superi le sue difficoltà, senza considerare che il DSL è una condizione patologica che ha sue origini e un suo corso.

Il DSL è un disturbo dei meccanismi di elaborazione del sistema linguistico, nei diversi livelli in cui questo si struttura, fonologia, sintassi, semantica, pragmatica. Livelli che possono essere compromessi in modo diverso per ciascun bambino con DSL. Questo punto di vista permettere di comprendere come sia difficile, per una consulenza di questo tipo, dare spiegazioni su fatti che Lei, gentile signora, racconta e dare indicazioni mirate e specifiche.

Se l’espressività del DSL è diversa per ciascun bambino, le conseguenze sul piano psicologico e relazionale sono spesso simili anche se spesso non correttamente interpretate. Le difficoltà di interpretazione dei messaggi che gli vengono rivolti e la frustrazione per l’insuccesso comunicativo dei tentativi di produzione si ripercuotono inevitabilmente sullo sviluppo psicologico. In genere il bambino ricerca continuamente la mediazione dell’adulto di riferimento, talvolta unica relazione in cui il bambino sperimenta un successo comunicativo. Spesso questo adulto è la madre e la condizione di stretto legame che si instaura con il bambino viene "interpretata come disturbo primitivo della relazione mentre spesso è l’unica reazione possibile al disagio comunicativo".

Che fare?

Sicuramente fare, ma con molta attenzione ad avere le idee chiare è un progetto ben definito. Passare da una terapia all’altra senza aver chiaro il perché e lo scopo di quel lavoro è di danno al bambino.

Sicuramente fare, ma senza dimenticare che le difficoltà del bambino non sono "ritardi che con il tempo si recuperano". Fare per dare possibilità che il bambino, se nelle condizioni adeguate, possa trovare strategie di compenso per sfruttare al massimo le sue possibilità.

Sarebbe utile che la mamma, il papà le insegnanti, la logopedista (e altri operatori "esperti" e disponibili sì, ma attenti al progettare azioni più che dare interpretazioni) mettessero a punto un progetto comune nel senso e nelle linee generali, e specifico, di riabilitazione per la dimensione fonologica e sintattica, per quanto è ancora possibile data l’età del bambino, e di ri–educazione per tutte le altre dimensioni coinvolte.

Suggerirei di concentrarsi sul successo dei vari atti comunicativi più che gli elementi distorti (anche la rieducazione deve essere ben calibrata in questo senso) proprio per alimentare l’allegria, il piacere della compagnia, e quel ben–essere che è la spinta fondamentale a continuare quello sforzo di ricerca di strategie efficaci per "dire" in modo comprensibile. In altri termini per quella parte di autorieducazione che ogni bambino in difficoltà mette in atto se motivato.

In questa direzione vanno accettati, nel quotidiano, tutti i linguaggi alternativi cui faceva riferimento la mamma.

Non si deve cedere alla tentazione di chiedere di ripetere. Proprio per le caratteristiche del DSL chiedere di ripetere parole e frasi è inutile oltre che dannoso per il bambino, visto che è solo una aggiunta di frustrazione.

Eventuali "allenamenti", che non escludo, devono essere limitati alla terapia logopedica e, mi ripeto, con un’assoluta chiarezza di quello che si sta facendo.

È molto più utile parlare molto con il bambino. Possibilmente con lentezza senza però togliere spontaneità alla comunicazione. (Lentezza che aiuta nei processi di decodificazione). Non dimentichiamo che noi parliamo per comunicare, non per esercitare la forma corretta ed elegante.

Parlare per raccontare, per spiegare, per ascoltare, per chiedere. Un dialogo "vero" e non "formale".

Per quanto riguarda la scrittura, è importante aiutare il bambino a fare l’analisi dei suoni presenti nella parola che deve scrivere, nei vari modi che non è possibile descrivere qui, sia perché argomento complesso sia perché i modi vanno adeguati sul tipo di difficoltà del bambino. Viceversa, nella lettura, va aiutato a fare la sintesi progressiva delle lettere che legge, per comporre la parola.

Si deve fare attenzione a non proporre attività mirate alla correttezza della lettura più che alla comprensione. Il bambino che legge "bene" è molto gratificante per gli adulti ma noioso per i bambini. È più significativo e appagante leggere per capire, che, di fatto, è il senso primo della lettura.

È bene fare il possibile per non "vedere" solo il DSL, ma il bambino tutto intero e il suo futuro: in questo momento mi riferisco alla necessità di progettare i contenuti del lavoro scolastico in modo che il bambino possa conoscere il mondo, magari con interesse e curiosità, nonostante il DSL.

 


copyright © Educare.it - Anno II, Numero 6, Maggio 2002