- Categoria: Immaturità, ritardo nello sviluppo
- Scritto da Paola Marchionne
Mutismo selettivo
Sono la mamma di una bambina di tre anni e mezzo che frequenta la scuola materna da quasi tre mesi.
Prima della scuola la bimba era affidata alla nonna, ed aveva frequenti occasioni di incontro con altri bimbi: cuginetti, vicini di casa, bambini al parco giochi dove la nonna la portava quasi tutti i giorni. E' sembre stata una bambina allegra, sveglia, forse un pò riservata con gli esternei, ma appena entrava in confidenza, si sbizzariva nei giochi e nei discorsi, tanto che spesso voleva comandare la sua compagna di giochi. In casa c'è un ambiente molto sereno, io e mio marito andiamo d'accordo e le diamo tutto l'incoraggiamento possibile, per non parlare dell'affetto e delle coccole che peraltro dimostra anche lei nei nostri confronti. Io ho un carattere molto timido e, sicuramente ed inconsapevolmente, le trasmetto le mie paura.
Ora il problema è che alla scuola materna, dove non ha avuto grossi problemi di inserimento (qualche lamentela e pianto ma niente di più), non parla. Una delle maestre sembra preoccupata e mi ha riferito che Alice a volte passa 8 ore senza spiaccicare parola, con nessuno. Non interagisce e gioca molto poco. Sembra immobile, se ha sete non chiede di bere alla maestra, a pranzo non alza la mano per chiedere il bis anche se lo vorrebbe, spesso si mette in bocca la manica del grembiulino.
Quando vado a prenderla e chiedo com'è andata, mi risponde bisbigliando, ma le basta uscire dall'asilo per trasformarsi: gioca, corre e parla, a volta anche con i compagni, ma solo se sono presente io.
Ho notato che più passa il tempo più peggiora. E' sempre più ansiosa, mi ripete in continuazione che non vuole andare all'asilo, ha paura della maestra (dalla quale è stata sgridata una sola volta), ha incubi notturni, e sento in lei un disagio profondo.
Da quando va all'asilo si è chiusa moltissimo rispetto a prima, spesso non parla più con gli estranei anche se sono presente io. Ho sentito parlare di mutismo selettivo, secondo lei è solo ansia da separazione o è qualcosa che dovrei approfondire? Grazie in anticipo.
Gentilissima mamma,
molto probabilmente lei ha ragione su entrambe le linee interpretative, e cioè che probabilmente il fenomeno esplicitato (a suo modo) dalla bimba è assimilabile al mutismo elettivo o selettivo e che, altrettanto probabilmente, esso è scatenato dall'ansia da separazione.
Ricordo che il mutismo elettivo (dal fatto che il soggetto "elegge" o sceglie un comportamento da mettere in atto esclusivamente in un determinato contesto) è un fenomeno che porta la persona (praticamente esclusivamente in età infantile) a non esprimersi in alcuni contesti, preferibilmente socializzanti, quindi scuola o gruppi...; in questa forma di chiusura totale della comunicazione, vengono compresi anche dei semplici rifiuti ad aderire a determinate richieste, come sedersi, mangiare insieme o attività simili.
A questo punto, visto cioè che io mi sento di rinforzare il suo sforzo interpretativo e che non credo di ravvedere nella situazione, come da lei raccontata, altri elementi da analizzare, non mi resta che aggiungere un piccolo tassello riflettendo insieme a lei .
Se è vero, come è vero, che un bambino può chiudere la comunicazione con un ambiente (può comunque avvenire anche in famiglia) perché non vuole dare né soprattutto ricevere nulla da quel contesto, in una parola non vuole adattarsi, non vuole mettere radici in quell'ambiente, vuole mantenersi un una posizione in cui possa andarsene in qualsiasi momento, è anche vero che questa volontà di chiudere può nascere da un vissuto traumatico che "shocka" il soggetto e lo rende impotente.
Intendiamoci: un trauma non deve necessariamente farci pensare a qualcosa di grande, negativo o torbido, ma anche ad un evento che può essere vissuto dalla persona come un trauma dal punto di vista soggettivo, e non oggettivo, perché trauma in quanto tale (un incidente, un abuso, una violenza, un lutto...).
Insomma sto dicendo che per Carola andare alla scuola materna e distaccarsi dalla cerchia familiare per qualche ora al giorno, può essere un autentico trauma.
Possono esserci però, due significati aggiunti, che possono essere controllati: uno è il fatto che magari a scuola qualche evento per Carola possa essere "eccessivo". Ad esempio, lei racconta che la maestra l'ha sgridata, e magari a scuola c'è anche molto rumore, bambini che gridano o che piangono. Tutto questo per la bambina potrebbe essere emotivamente molto forte da sopportare. Le faccio uno dei miei soliti esempi: ci sono dei bambini che sono abituati a dei genitori "allegramente strilloni" . Sono genitori molto amorevoli ma che alzano sempre la voce, anche per un nonnulla, sono la disgrazia dei vicini, promettono grandi punizioni e poi, nei fatti, non fanno nulla. Ecco, per questi bimbi, il gridare della maestra non intacca mai la loro soglia di "allerta". Per capire se nel comportamento dell'insegnante c'è qualcosa di non buono, ricorrono ad altri elementi: tipo il tono, lo sguardo o altri gesti. Sanno cioè che gridare solamente non basta per spaventare sul serio.
Il secondo fattore è che il contesto familiare, come da lei lucidamente descritto (brava: è molto sana la sua "onestà genitoriale"!), è molto accudente, accettante in modo incondizionato, supportante di qualsiasi esigenza della piccola: sono proprio queste caratteristiche che potrebbero rinforzare in lei la percezione traumatizzante della scuola.
Ovviamente non sto dicendo che siete voi a sbagliare, come non sto dicendo che la scuola sbaglia: sto affermando di contro che le naturali caratteristiche dell'ambiente familiare (amore e accettazione di tutto) e le naturali caratteristiche della scuola (comunità e ricerca di una sana convivenza per tutti anche in virtù di alcune regole e modalità che vadano bene per tutti e non solo per il singolo ), finiscono per rinforzarsi paradossalmente fra di loro !!!
Cosa fare , dunque ?
Provare ad andare avanti e non tornare indietro: non seguire cioè pedissequamente le richieste di Carola, sicuramente strazianti, di essere ricompresa in una condizione di bambina più piccola che non va alla scuola materna e, soprattutto, non cominciare ad insegnarle che, se non parla, riesce a non fare le cose che sul momento non le piacciono.
Lei stessa , mamma, evidenzia le capacità sociali di Carola che, fuori scuola, parla, grida anche e sta con gli altri bambini: se non ne fosse capace, o fosse patologicamente timida (cosa che la mamma teme perché riconosce la propria timidezza), sarebbe sempre bloccata.
Se la maestra, come lei racconta, è preoccupata, sarà sicuramente disposta ad aiutarla e ad accettarla anche se non parla; perché è solo così, che Carola, piano piano, magari partendo dai suoi compagni, comincerà a parlare.
E quando un giorno, quando Carola sarà più grande e avrà superato questo ostacolo, ve lo racconterete, ci riderete su!!
Le consiglio anche un libro e mi mantengo a sua disposizione:
Oliverio Ferraris, NON SOLO AMORE, Demetra
Educare.it - Anno VII, Numero 3, Febbraio 2007