- Categoria: Aggressività ed autoaggressività
- Scritto da Monika Runggaldier
Tricotillomania e psicoterapia
La mia certamente è una storia già sentita ma fino a poco tempo fa anch'io, come altri, credevo di essere la sola ad avere questa bruttissima abitudine. Non ho avuto una vita facilissima e credo di ritrovarmi anche nel discorso del rapporto un po' tormentato con mia madre che con tutti i suoi difetti, mi ha sempre voluto bene ed è stata l'unica a prendersi veramente cura di me. Ora sono una buona studentessa universitaria e ho vicino un ragazzo, dei cari amici e una piccolissima famiglia che mi amano, ho tanti interessi e obbiettivi precisi ma per la miseria, ancora combatto ad armi impari con questa mania, tic non so che nome dargli. Mia madre credo che sappia da anni del mio problema anche se gli dà un nome, una faccia diversi, nel senso che mi dice "FERMA" quando vede che gioco con i capelli ma non ha mai ammesso che quei brutti vuoti fra i miei ricci erano dovuti solo a me. Il mio ragazzo e un paio di amiche sanno tutto e sono stati meravigliosi ma IO non ho il coraggio di intraprendere un discorso serio con uno psicoterapeuta perché temo cure lunghe, costose e soggette all'uso di farmaci come il PROZAC, che ho letto esser somministrato in alcuni di questi casi. Non dirò comunque niente a mia madre, non credo possa, per problemi concreti, starmi vicina come vorrei. Posso chiedere a Voi un parere in merito al mio problema?
Vi ringrazio di cuore.
Cara Signorina,
forse avrà letto anche altre mie consulenze sulla tricotillomania (Tricotillomania o Tricotillomania a 18 anni). Visto che però ogni singola consulenza viene preparata nel modo più individualizzato possibile, non sono mai generalizzabili, anche se in alcuni casi può essere interessante un confronto con casi per certi versi simili. Non è però così nel caso della Sua tricotillomania.
Dunque vengo al Suo personale caso con un parere individualizzato. Innanzitutto e prima di tutto una premessa importante, visto che Lei teme la psicoterapia tra altro anche per il motivo che quest’ultima potrebbe essere associata all’assunzione di farmaci: è una falsa credenza che le psicoterapie siano accompagnate da terapie farmacologica, anzi, nella stragrande maggioranza delle psicoterapie cognitive-comportamentali NON si assumono farmaci. L’assunzione contemporanea di farmaci oltre il supporto psicoterapico non credo sia necessario nel Suo caso e se qualcuno glielo proponesse potrebbe proporre, a Sua volta, di voler provare senza farmaci.
Altra cosa dicasi per la durata di una terapia che Lei teme, dicendo che "non ho il coraggio di intraprendere un discorso serio con uno psicoterapeute perché temo lunghe cure".
Ora mi chiedo: teme più quello che Lei chiama "discorso serio" o la teme più la "durata del discorso serio"?
Ogni discorso – chiamiamolo serio – avrà una sua durata per essere tale. Tuttavia l’aggettivo "serio" per una terapia nel tempo forse non è tra i più adatti. Il discorso terapeutico, più che serio, si "prende cura" (come suggerisce lo stesso etimo greco di terapia) di Lei. E non lo può fare una persona "altra" da sola, ad esempio un terapeuta, se Lei non è convinta di "prendersi cura di se stessa", il che include il fatto di non essere più vittima della tricotillomania, in quanto abitudine compulsava, spesso ritualizzata e limitata a particolari momenti. I comportamenti compulsivi hanno spesso origini, come anche Lei stessa mi conferma, in rapporti "tormentati" con la madre, madri che a volte cercano di fare di tutto per rendere i figli o le figlie infantili psicologicamente nel tentativo di risolvere i loro stessi conflitti di autonomia/dipendenza.
Il processo terapeutico non è una "magia istantanea" che da un momento all’altro fa guarire da un comportamento compulsivo, ma è necessariamente un processo di cura, a volte più lungo, a volte più breve. Lei stessa mi scrive che non ha avuto la "vita facilissima" e che "combatte ad armi impari con questa mania". Una terapia (cognitivo-comportamentale oppure una psicoterapia, oppure la psicanalisi) non solo La potrà portare a "combattere ad armi pari con questa mania", ma addirittura, potrà far sì, che Lei non debba nemmeno più "combattere", perché non ci sarà più avversario da combattere.
Il concetto di "combattere" che ha usato nella Sua lettera mi pare significativo: nonostante Lei sia, come scrive, una "buona studentessa universitaria" con persone che La amano, la necessità di "combattere" in Lei c’è. Combattere per che cosa o cosa? Spesso si è convinti di combatte per, ad esempio, smettere di fumare o per dimagrire o per smettere di torcersi i capelli e non si è consapevoli che il vero motivo della battaglia è a livello molto più profondo.
Una delle "battaglie" psicologiche più profonde è quella per la propria autorealizzazione creativa e individuale, ovvero, per la propria autonomia.
Il mio consiglio: rivaluti l’ipotesi di una terapia, senza contemporanea assunzione di farmaci.
Purtroppo non so se nell’ospedale o nella clinica nella Sua regione c’è un reparto che offre psicoterapie con il solo contributo finanziario del ticket. So che in molte strutture sanitarie (spesso associate ai reparti di psichiatria) o parasanitarie c’è la possibilità di una terapia per costi permissivi ovvero con il pagamento del solo ticket (forse in caso di studenti con ulteriori riduzioni).
Tenga presente che l’instaurarsi di una relazione con il/la terapeuta richiede un po’ di tempo. Non valuti perciò al primo incontro.
Lo strapparsi i capelli può continuare per anni e potrebbe portare a chiazze di calvizie che a loro volta potrebbero essere causa di ulteriori problemi psicologici.
Concludo, ricordando ancora i concetti di "coraggio" e di "combattimento ad armi impari" - da Lei usati – che sono legati tra di loro: la "battaglia coraggiosa", in fondo, è una battaglia per la SUA persona, autonoma dai legami più o meno consci che ha con Sua madre. Ma una "battaglia" chiede sempre dei combattenti, delle vittime e dei vinti.
Diversamente dicasi per il percorso terapeutico, per il quale non ci vuole "coraggio", ma solo la consapevole decisione di NON volere rimanere in stasi in una situazione presente.
copyright © Educare.it - Anno III, Numero 4, marzo 2003