- Categoria: Aggressività ed autoaggressività
- Scritto da Paola Marchionne
Rifiuto dell'asilo
Gentile Staff,
mia figlia di 3 anni frequenta una scuola materna privata vicino casa. Ha cominciato dunque a 2 anni e mezzo e l'inserimento da allora non si è mai concluso. All' inizio piangeva tutto il tempo, e anche se conosceva già qualche bambino ciò non la consolava. Le cose sembravano andare meglio quando le bambine grandi hanno cominciato a prenderla sotto la "loro protezione" e a farla partecipare ai giochi, a tirarla dentro insomma (non solo in senso figurato ma anche "fisico" per quanto riguarda l'entrata della mattina); sembrava benino fino al giro di boa del Natale (comunque per piangere piangeva sempre per ogni nonnulla, piccole sgridate ma soprattutto per l'allontanamento delle sue angiolette custodi) da gennaio invece, compiuti i 3 anni si è aggiunta la novità del vomito, e cioè accade che, favorita da un po' di tosse, dal pianto passa al vomito (questo accade di solito entro 20 minuti da quando la lascio).
Ogni mattina la domanda di rito è "non andiamo all'asilo eh?" e quando le dico di si, che bisogna andare, che si imparano tante cose ecc. lei si adombra e di solito dice che ha mal di pancia, si irrigidisce insomma e questa tensione continua con i brividi di freddo fino all'asilo. Premetto che la bambina è sensibile dolce intelligente e vivace a casa, e quando ci ritorna sembra che niente sia accaduto. All'asilo i gruppi negli stanzoni sono spesso eterogenei, i bambini 45 animucce scatenate e le 3 insegnanti li lasciano molto "liberi"... credo che la paura di mia figlia sia legata un po' alla "bolgia" incontrollata, alla possibilità di prenderle come è già capitato senza motivo e alla paura di accedere ai giochi (che possono diventare teatro di scontro o non condivisione).
Io sono la prima a volere che mia figlia socializzi, appena posso chiamo qualche amichetto tranquillo con cui si trova bene a giocare a casa, già prima dell'asilo lo facevo e le occasioni per incontrare altre persone e "zii" amici nostri non sono mai mancate, come le uscite al ristorante che lei ama molto, gite e qualsiasi occasione di esplorare il mondo, che lei adora.
Mi chiedo: le ho fatto iniziare l'asilo troppo presto?
Premetto che anche l'anno scorso al parco aveva timore di avvicinarsi ai giochi anche se i bambini erano nel raggio di 10 mt da lei, e tuttora un po' ce l'ha (la cosa che fa in questi casi è sedersi e osservare a lungo i bimbi che giocano per poi parlare con me di quello che fanno, come si comportano e se sono più o meno "monelli", insomma li "studia")...credo che abbia quindi un terrore matto di essere aggredita (come succede spesso all'asilo o con un vicino di casa che ogni volta che lo andiamo a trovare - ha quasi tre anni - la prende a sberle solo se la vede), non si fida se non dei bimbi che conosce bene. Come mi comporto verso l'asilo e le insegnanti? Ho chiesto il colloquio ma credo che cambierà poco, anche perché con la sua maestra colloquio ogni giorno all'uscita della scuola.
Aggiungo che una maestra (non la sua ma la "direttrice", famosa per tenere ordine e disciplina con urla da caserma, sgrida spesso anche la mia che piange poi a catinelle) una volta mi ha detto che la vita è dura e che i bambini devono "farsi il carattere"... ma se le rubano il gelato all'ora di pranzo e nessuno vede niente forse la giungla è proprio nell'asilo!
Grazie per la risposta.
Gentile mamma,
lei presenta la situazione di sua figlia con dovizia di particolari; abbandonerei però, per un momento, l’analisi obiettiva della "giungla" organizzativa ed educativa rappresentata dalla scuola, per sondare degli aspetti lasciati in ombra.
I dati che mi mancano per poter aver un’idea più precisa (fatto che mi porterà a fare, di conseguenza, solo ipotesi), sono quelli riguardanti la relazione della bambina con la sua mamma, col suo papà, col suo ambiente familiare.
Mi spiego: l’io di un bambino si struttura, fin da quando è piccolissimo (legga pure: fin dal periodo del pancione), nel rapporto con la madre, filtrato e completato dall’importantissima figura del padre. E’ grazie ai contatti, alle esperienze, agli insegnamenti, agli esempi, al calore e all’approvazione forniti dai genitori giorno per giorno, che il piccolo impara a conoscere gli altri, il mondo e se stesso. Quando il bambino impara a camminare e volge per la prima volta le spalle alla mamma per andare ad esplorare il mondo, "viaggia" nella consapevolezza e sicurezza che lei è pronta per rassicurarlo, spiegargli ogni cosa, proteggerlo.
Nell’EQUILIBRIO di queste relazioni e prime esperienze sta veramente moltissimo dell’equilibrio personale di un individuo, inteso come insieme dato dal suo carattere naturale, dalle sue conoscenze, aspettative, possibilità di difesa dagli eventuali pericoli, talvolta necessariamente insite negli adulti, ma altrettanto necessariamente insite nell’individuo stesso, in quanto capacità e forze con cui affrontare la realtà.
In un libro molto interessante di Bonino-Fonzi-Saglione, TRA NOI E GLI ALTRI, Ed. Giunti, si postula l’esistenza di una "zona – cuscinetto" che, dopo una maturazione evolutiva, ciascuno di noi interpone, appunto, tra sé e gli altri, sconosciuti ma non solo, in relazione alla propria cultura, alle proprie esperienze e al proprio temperamento, nonché all’educazione ricevuta. Ciascuno di noi possiederebbe, insomma, una sorta di misura personalmente adeguata per avvicinarsi agli altri e, vicendevolmente, farsi avvicinare. La distanza personale maturerebbe intorno ai 3 anni, dopo l’attuazione del processo di "separazione-individuazione" dalle figure genitoriali, specialmente dalla madre. Essendo però il bambino piccolo abituato prevalentemente ad interazioni con gli adulti, - […] la conquista della distanza personale verso i propri simili esige una maturazione più lenta. Sembra così che solo dopo essersi rassicurato circa la propria identità, rompendo quell’unità simbiotica in cui si riassumono i primi rapporti con l’adulto, il bambino possa finalmente "dedicarsi" ad articolare il rapporto con il coetaneo. [La relazione con i coetanei] implica una capacità di cooperazione che solo un’avvenuta decontrazione da sé può pienamente garantire. E’ quindi naturale che il bambino si accinga a tale impresa dopo essersi rafforzato nel riconoscimento di sé attraverso il rapporto con l’adulto.
- La mia ipotesi nel vostro caso, cara signora, è che nella relazione fra lei, fra voi e vostra figlia, la componente della protezione sia molto forte e, sa, la protezione rende gli individui anche superbi, dei veri sultani, ma fondamentalmente, enormemente e inguaribilmente fragili. Forse il legame con la bambina va arricchito di valenze autenticamente promotrici della sua autonomia e della sua personalità. La bambina è un’osservatrice (ecco la "zona-cuscinetto")? Va benissimo, non c’è niente di sbagliato. Quello che va guardato con un occhio particolare è che, seppure a scuola c’è effettivamente la bolgia, la bimba non dovrebbe averne paura, possedere cioè delle difese, delle forme di reazione costruttiva, anche iniziali, nucleari, in progressione.
Ma, se è così, come mai? Provate a riflettere, voi genitori, sull’intensità e sulle modalità dei vostri rapporti con la piccola. Come potete vedere, ad esempio, la bambina ha avuto un momento di sollievo quando anche a scuola qualcuno (le compagnette più grandi) era disposto a proteggerla.
Per essere più chiara, le racconterò una storia, ahinoi, vera: conosco molto bene una bambina, minuta e dolcissima, e con lei il suo fratellino minore. Tutte le mattine, quando è il momento di andare a scuola, i due piangono, terrorizzati; la grande arriva ad avere i conati di vomito, che, spesso, non sono solo conati. Arriva a scuola provata e sconsolata. L’ho osservata per parecchio tempo chiedendomi perché facesse così, rimanendo spasmodicamente "incollata" ai suoi, sempre spaventatissima. Poi, ho conosciuto la famiglia: due genitori giovani, allegri e generosi, ma iperprotettivi, legati ad una cultura e ad un’idea dell’infanzia da coprire, da minacciare, impaurire, a cui nascondere gli eventi e le verità, senza nessuna idea di mediazione, di trovare linguaggi e messaggi adatti con cui tradurre la realtà ai piccoli, senza nessun intento di promuovere in autonomia. Insomma, per farle un esempio, ho scoperto che questa mamma, peraltro simpaticissima, per staccarsi dai suoi figli o per farli mangiare, dice loro di dover andare a chiamare il… dottore e di stare buoni ed obbedire se no lui arriva.
Insomma: nel 2002 non siamo più all’ "uomo nero" ma…quasi!!
Sicuramente questo non sarà il suo caso, ma provi a riflettere sulle variabili che le ho suggerito.
Infine, non ho certo l’intenzione di tralasciare la situazione della sua scuola, che mi sembra effettivamente disorganizzata e confusionaria. Provi a confrontarsi con gli altri genitori ed eventualmente fate presente alle insegnanti la necessità di avvalersi, in presenza di tanti bambini, di metodi educativi e di adeguati stimoli didattici che coinvolgano i piccini, ne canalizzino e disciplinino l’esuberanza, divertendoli ed educandoli insieme.
In ultimo, mi tolga la soddisfazione e faccia sapere alla Signora Direttrice che le sue convinzioni sono onestamente campate in aria, che non è una "overdose" di aggressività, violenza, cattive maniere che renderà i bambini edotti e sapienti su quanto la vita sia dura. La vita è, innanzitutto, bella, colorata e fiorita e da qui si comincia, con i bambini e con tutti. "Ci si fa il carattere" attraverso esperienze positive ed interessanti e non tramite insegnamenti grossolani che non fanno onore agli anni di esperienza che questa signora sicuramente avrà, visto che è una direttrice, e ad ancora più anni di tradizione e studi che hanno fatto dell’ "asilo" del ’69 la "scuola dell’infanzia" dei giorni nostri.
copyright © Educare.it - Anno II, Numero 8, Luglio 2002