Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXV, n. 4 - Aprile 2025

Le cinque trappole dell’educazione

Dal 23 al 27 maggio 2000 si è tenuto a Vancouver [Canada] il primo Mercato Mondiale dell'Educazione. Organizzato da una società privata, la Reed Company, specializzata nel settore «fiere, congressi, esposizioni», ha visto la partecipazione di più di quattromila persone.
Per la Reed, l'educazione è un business come la nautica, i multimedia, la stampa, il marketing. Il linguaggio «nato» a Vancouver non lascia dubbi sulle tendenze che stanno imponendosi a livello mondiale: «business dell'educazione», «educational corporation», «prodotto educativo», «mercato dei professori», «l'offerta d'educazione», «mercato degli studenti», «competitività inter-universitarie», «performance dei programmi educativi multimediali», «accordi e fusioni tra le imprese educative», «liberalizzazione [del commercio] nel settore dell'educazione».

La prima trappola

Tutto è iniziato, a mio parere, una trentina d'anni fa quando anche il mondo dell'educazione ha accettato e generalizzato il concetto di «risorsa umana». È nata cosi la prima trappola nella quale l'educazione è cascata, che consiste nell'aver spostato dalla persona umana alla risorsa umana l'asse centrale della funzione del sistema educativo. Avere accettato la riduzione della persona umana a «risorsa umana» significa aver imprigionato ogni aspetto della persona umana, e non solo il lavoro, nella logica della produzione. Così, il diritto all'esistenza di una «risorsa umana» è condizionato dalla sua utilità per il sistema produttivo. Una «risorsa umana» non redditizia è immediatamente scartata, eliminata. Per un adulto, non v'è più il diritto al lavoro ma il dovere d'impiegabilità. Se una «risorsa umana» non è impiegabile, utilizzabile, non ha più alcun valore. Permettere di acquisire le conoscenze, i saperi e le competenze indispensabili per diventare e restare una «risorsa umana» impiegabile è considerato oramai, da parte dei nostri dirigenti, il ruolo fondamentale dell'educazione secondaria superiore ed universitaria. Più in particolare, è questo il compito che spetta alla educazione/formazione permanente, continua, lunga quanto la vita «economica» di una «risorsa umana», specie in un'era come la nostra di cambiamenti scientifici e tecnologici continui e rapidi. A non aver più la voglia di riciclarsi o non essendo più riciclabili, non v'è scampo: la «risorsa umana» sarà gettata via come una vecchia ciabatta.

La seconda trappola

La seconda trappola, strettamente legata alla prima, ma dovuta anche ad altri fattori nuovi, quali le politiche della mondializzazione liberista, deregolamentata e privatizzata, consiste nell'aver trasformato il sistema educativo di un paese in uno strumento messo al servizio della competitività nazionale. L'educazione deve permettere di formare le «risorse umane» altamente qualificate e flessibili, di cui hanno bisogno le imprese «nazionali» per assicurare la loro competitività sui mercati inter-nazionali e mondiali. Le istituzioni educative sono diventate i «luoghi» dove le nuove generazioni sono addestrate ad una cultura di guerra [«diventare i migliori», «riuscire meglio degli altri», «essere tra i vincitori»...], piuttosto che ad una cultura di vita [«vivere insieme», «imparare a contribuire allo sviluppo ed alla promozione dell'interesse generale»...].
La logica della competitività ha penetrato il mondo dell'educazione non solo a livello delle finalità dell'educazione, ma anche al livello del comportamento delle stesse istituzioni che sono in competizione tra di loro, le università soprattutto. Se lo spirito e le pratiche della cooperazione tra università di differenti regioni e paesi esistono ancora, è soprattutto perché, nella maggior parte dei casi, ciò consente ad ogni università di essere ancor più [e meglio] competitiva sul «mercato» dei fondi pubblici e privati per la ricerca, per quanto riguarda l'iscrizione degli studenti, la sponsorizzazione di cattedre da parte di imprese private, e via dicendo. Si è addirittura giunti alla situazione per cui membri del corpo accademico hanno accettato di «offrire» le loro competenze al servizio di un sistema di valutazione delle varie università del paese ed estere, per stabilire una classifica delle cosiddette «migliori» e permettere così ai poteri pubblici e ai finanziatori privati di privilegiare il finanziamento delle università classificate ai primi posti.
Piano piano una siffatta logica, autodistruttrice, sta penetrando anche il settore dell'educazione secondaria superiore. La classe politica dirigente è largamente acquisita a tale cultura, come si è dimostrato al Vertice europeo di Lisbona del marzo 2000, allorché i quindici capi di stato e di governo dell'Unione europea hanno adottato una risoluzione solenne, nella quale si proclama che il compito più importante dei cittadini europei, nei prossimi quindici anni, è fare dell'Europa la e-economia più competitiva al mondo, e che il sistema educativo europeo deve essere messo in condizione di sostenere un tale obiettivo aprendosi, tra il 2001 e il 2003, ad una totale penetrazione delle tecnologie d'informazione e di comunicazione e ad una rapida e generale alfabetizzazione numerica.
Non è un caso, in realtà, che la terza trappola in cui è caduta l'educazione sia stata causata dello sviluppo dell'educazione a distanza su supporti tele-informatici e tele-comunicati.