Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXV, n. 1 - Gennaio 2025auguri natale

Difficoltà a scuola: quali e perché?

Con eccessiva approssimazione si trattano, talvolta, le difficoltà che bambini e ragazzi incontrano nel loro percorso di studi. Così ritardi, lentezze, immaturità, disturbi dell’apprendimento, problemi di adattamento o di comportamento vengono confusi tra loro o definiti in modo inappropriato.

In questo breve articolo ci proponiamo di fare un po’ di chiarezza intorno a questi temi, senza alcuna pretesa di esaustività, con la convinzione che una corretta definizione delle difficoltà sia alla base di ogni efficace intervento di aiuto.

Le cifre sono allarmanti: molti studi rilevano che un bambino su cinque manifesta difficoltà a scuola, escluse le diverse situazioni legate a scarsa motivazione che, semmai, sono l’esito di una storia scolastica problematica piuttosto che la causa.

Una comune classe delle nostre scuole avrebbe dunque una squadriglia di alunni che "non riesce a raggiungere gli obiettivi", "non segue il gruppo", "ha problemi di rendimento" e via dicendo.

Di fronte a questi dati proviamo ad essere più analitici. Alcuni autori suggeriscono di scomporre i problemi scolastici in tre categorie generali, distinguendo gli alunni che hanno abilità scarse da quelli che presentano difficoltà di adattamento alla situazione scolastica, dai bambini con veri e propri disturbi dell’apprendimento.

La prima tipologia è senza dubbio la più estesa: vi possiamo comprendere gli studenti con scarsa padronanza delle abilità strumentali (leggere, scrivere, far di conto) e di quelle strategie metacognitive (ad es. di memoria o logico-matematiche) che rendono più efficaci e meno faticosi i processi di apprendimento. Altri alunni possono essere invece carenti nella loro stabilità emotiva, nella capacità di autocontrollo, nella responsabilità verso la scuola, nelle abilità sociali. Essi danno l’impressione di non sapere qual è il loro dovere, hanno difficoltà nell’autonomia e sono perciò facilmente definiti come "immaturi". Entrambe le situazioni sono accomunate da una condizione di "ritardo" e sono facilmente recuperabili con adeguati interventi didattici ed educativi.

La seconda tipologia comprende la numerosa casistica degli alunni che manifestano problemi di adattamento. L’ambiente scolastico, com’è noto, pone svariate richieste: alcune sono esplicite (attenzione, applicazione, autocontrollo, socializzazione, precisione nello studio e nelle esecuzioni strumentali), altre invece sono implicite (aspettative dei genitori o degli insegnanti, partecipazione alla vita della classe, accettazione delle valutazioni sul proprio operato). Di fronte a queste richieste non è raro che uno studente abbia difficoltà ad adattarsi e che manifesti sul piano del rendimento e del comportamento il proprio disagio.

Gli alunni con "sindrome da fallimento" possono essere compresi nella prima categoria: sono coloro che affrontano i compiti con aspettative di successo molto basse e si aspettano sempre di fallire. Diversamente, alcuni studenti sono eccessivamente perfezionisti ed hanno un rendimento inferiore all'attesa perché sono più preoccupati di evitare errori che di apprendere. Essi tendono ad evitare le verifiche o a rinviare l'inizio del lavoro che sarà sottoposto a valutazione; a ricominciare le cose in continuazione o ad usare molto tempo per farle perché il lavoro deve essere perfetto. Talvolta questi alunni hanno reazioni troppo emotive e "catastrofiche" di fronte a prestazioni non eccellenti.

Sul piano del comportamento la difficoltà di adattamento si esprime secondo modalità opposte: vi possono essere eccessi di timidezza accanto ad atteggiamenti apertamente aggressivi, provocatori, ostili. Di fronte a queste situazioni, l’intervento di aiuto si profila più articolato e complesso perché richiede quasi sempre la definizione di un piano di "cambiamento a piccoli passi" che coinvolga lo studente, la famiglia e la scuola.

La terza tipologia di difficoltà scolastiche comprende la casistica dei veri e propri disturbi dell’apprendimento e di altre patologie affini. Sul piano statistico si tratta senza dubbio delle situazioni più rare e quindi la definizione va operata con cautela e con le dovute conoscenze diagnostiche. Rientrano in questa tipologia gli alunni affetti da disturbo della lettura (dislessia), della scrittura (disortografia), del calcolo (discalculia), del segno grafo-motorio (disgrafia), dell’attenzione e dell’iperattività, della condotta, della coordinazione motoria, da ritardo mentale, da sindrome non-verbale (tanto per citare i disturbi maggiormente conosciuti). La natura di questi disturbi è ancora incerta, anche se gli studiosi propendono per spiegazioni di tipo organico. Gli interventi presuppongono una corretta individuazione del "locus funzionale del danno" e quindi l’attuazione di uno o più trattamenti mirati, utilizzando metodologie e strumenti di derivazione neuropsicologica, psicopedagogica o educativa.

 


copyright © Educare.it - Anno V, n. 4 marzo 2005

DOI: 10.4440/200503/PASQUALOTTO

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